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DIARIO DI UN LADRO regia di Robert Bresson

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Marco Iafrate     8 / 10  10/01/2008 23:31:09Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Quali sono i meccanismi che spingono un ragazzo per bene, educato, innocuo e di buoni sentimenti (repressi) ad intraprendere la strada dell'illegalità mediante il furto? Dove inizia il confine che porta l'uomo ad elevare la pochezza della propria esistenza con la dimostrazione (soprattutto a se stesso) dell'abilità nel rubare? La volontà di affermazione sembra essere l'unico scopo nella vita di Michel che passa le giornate tra la sua misera camera ed i luoghi consueti al borseggiamento: banche, metropolitane, luoghi affollati; come un elastico, il protagonista vive, ora momenti di esaltante delirio ossessivo che lo portano alla spettacolarità del furto, ora a momenti di triste mediocrità esistenziale che lo spingono a punte di nichilismo e di rifiuto della società totali. In questo grafico si insinua l'amore di Jeanne, l'unico raggio di sole che riesce a penetrare la fredda oscurità del cuore di Michel, il proprio egoismo si sgretola definitivamente all'incontro delle labbra attraverso le sbarre di una prigione. Bresson anche questa volta sfrutta la tecnica della voce fuori campo che accompagna le riflessioni del protagonista per raccontarci le vicende umane in tutta la loro complessità e come sempre le racconta con l'eterno distacco che ha sempre contraddistinto il cinema del regista francese; qui la mancanza di espressività del volto di Michel si contrappone però alla velocità delle sue mani durante i borseggi (le scene più coinvolgenti del film). E' interessante vedere come ogni forma di ossessione si riveli sempre incontrollabile e come ritorni prepotentemente ad assalire il soggetto che in qualche modo ne voglia scappare. Michel sembra redimersi dopo la morte della madre (da ateo, confessa di essere stato per tre minuti vicino a D.i.o) ma l'incontro occasionale con un borseggiatore di professione lo fa ricadere nel peccato, l'uomo gli insegna a rubare "ad arte" (bellissime le sequenze dell'apprendistato di Michel); in continuo conflitto con il proprio io, il ragazzo si trova costantemente a dover rinnovare la fiducia in se stesso, ma è una fiducia che lo porta, come in una giostra, sempre al punto di partenza, non c'è pace interiore; ma l'aridità cede all'amore, Jeanne è la persona che gli cambierà la vita. Al contrario di altri film di Bresson, Pickpocket può vantare di una suspence e di una tensione che altri lavori dello stesso regista non hanno; pur mantenendo l'asetticità nei dialoghi e il distaccato coinvolgimento degli attori, si assiste comunque ad una ricerca espressiva che sorprende, mai Bresson si era spinto ad una serratezza tale nel montaggio. Buona la prova degli attori, soprattutto del protagonista che riesce a trasmettere anche nell'imperturbabilità del suo sguardo la tensione che precede il furto. Niente da dire, Bresson è un maestro, sicuramente indigesto a molti, ma sempre coerente con il proprio lavoro e costantemente lontano dal sistema che governa l'industria cinematografica.