caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

NEL CORSO DEL TEMPO regia di Wim Wenders

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
ULTRAVIOLENCE78     8½ / 10  04/07/2009 15:32:25Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Splendido questo viaggio metaforico, che si dipana lungo la frontiera della Repubblica Democratica Tedesca. Il terzo film della cosiddetta trilogia della strada (“Alice nelle città”, “Falso movimento”, “Nel corso del tempo”) s’incentra sul percorso a due, intrapreso casualmente e rocambolescamente (nel contrasto tra la staticità di uno, intento a radersi con tutta calma la barba, e il dinamismo dell’altro, che a tutta velocità si getta con la macchina nel lago) da un revisionatore di proiettori itinerante (“King of the road”) e uno psicolinguista (“Kamikaze”). Si tratta di un “on the road” intenso e suggestivo, in contro-tendenza rispetto alle pellicole americane dell’epoca, perché ammantato da un lirismo scevro da verbosità e tutto teso a stabilire una sorta di legame metafisico tra i personaggi e i luoghi (quelli dei paesaggi e delle distese della Germania di confine, che richiamano le panoramiche e i campi lunghi dei western “fordiani”). Così la zona di divisione e nel contempo di contatto tra due realtà limitrofe assurge a emblema del rapporto instauratosi tra i due protagonisti, i quali pur mantenendo una sorta di ideale e costante distanza, resa dal silenzio in cui quasi sempre sono calati, riescono in rari ma straordinari momenti a trovare un’empatia e un punto di contatto profondissimi: su tutti, quello in cui i due amici, proprio dopo uno scontro verbale e fisico, stabiliscono una lenta e progressiva intimità fino ad arrivare a confidarsi reciprocamente le rispettive esperienze con le donne, tutte caratterizzate da una struggente e insormontabile incomunicabilità di fondo. Ed è questo il significato primario dell’opera, incentrato sull’essere “così lontani così vicini”, s’immortala metaforicamente nella bellissima immagine finale, ove si vedono i due protagonisti prendere strade diverse, l’uno col camion l’altro in treno, ma successivamente avvicinarsi e incrociarsi con lo sguardo per l’ultima volta in prossimità di un crocicchio.
Il film si configura, ovviamente, anche come una riflessione sul tempo che passa (così come quel treno che di tanto in tanto si ode e si scorge transitare) e sui cambiamenti che si generano sia nella vita individuale di ciascuno di noi che in quella collettiva: così il passaggio, da parte di “King of the road”, dalla nostalgia per quello che è stato e che non tornerà più (la sua casa d’infanzia) al prosieguo rasserenato della sua vita (“per la prima volta mi sento come uno che ha un certo tempo dietro di sé, e questo tempo è la mia storia”. E’ una sensazione tranquillizzante” affermerà in un punto cruciale del film) si riflette sull’idea stessa di cinema che, nella transizione dagli autori classici ai nuovi (hollywoodiani), ha sicuramente perso molto ma che, nonostante la decadenza dilagante (cfr. la chiusura dei cinematografi di provincia), può comunque trovare altre e feconde strade (che qui Wim Wenders si sia implicitamente, e con un po’ di vanità, autocandidato a film-maker della rinascita dello settima arte mi sembra abbastanza indubbio).
“Nel corso del tempo” è, in definitiva, un’opera molto positiva e conciliante (ma del tutto lungi dalla retorica di pellicole come “Nuovo Cinema Paradiso”, per fare un esempio per certi aspetti similare sotto il profilo dei contenuti), perché se da un lato mette in scena il dolore per la perdita di qualcosa (che può essere la fanciullezza, un amore o addirittura una persona cara che muore), dall’altro mette in risalto l’importanza di cogliere la speranza per il futuro, nella consapevolezza che la vita è fatta di ineludibili e ineluttabili passaggi e che va accettata per quello che è (“eppure esiste solo la vita, la morte non esiste!” dirà, al termine del resoconto della tragedia che lo ha colpito, l’uomo rimasto vedovo). Insomma, alla “ricerca del tempo perduto” si coniuga quella del tempo che ha da venire.
Un film esemplare, nonostante la scarsità di risorse (il che ancora una volta conferma l’assioma secondo cui quando ci sono idee buone, il resto viene da sé), per come è stato concepito e diretto: costruito su inquadrature fisse e movimenti “accennati” della macchina da presa, funzionali a una narrazione che fa del lento scorrere del tempo il suo fulcro e che, attraverso variazioni grandangolari, conferisce eguale dignità al fattore-spazio.
Ottime, infine, la colonna sonora, siglata dagli “Improved Sound Limited”, e la fotografia in bianco e nero (Robby Müller), che coglie in maniera superlativa i paesaggi tedeschi.