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APOCALYPSE NOW regia di Francis Ford Coppola

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Invia una mail all'autore del commento doncorleone     10 / 10  18/01/2006 23:20:50Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E ora l’apocalisse e insieme suonano i primi The Doors con la loro non casuale the end. Il fuoco divampa tra la folta e lussureggiante vegetazione, le pale degli elicotteri smuovono l’aria imputridita dagli spari, dalla polvere da sparo, dalle ritirate, dalle fughe, dalle ferite, dal sangue, dai cadaveri, dal fetore della morte, dall’orrore!
Incomincia così l’ ardua missione del comandante Willard, una missione che ha veramente poco a che fare con le strategie militari quella che gli è demandata. Il contesto, è vero, è il trambusto del Vietnam dilaniato da una guerra apparentemente interminabile e insormontabile. Ma è un Vietnam inverosimile, teatro di un conflitto più che bellico culturale, tra Oriente e Occidente. E non è certo la guerra con i suoi efferati delitti e le sue atroci violenze la protagonista, essa non è altro che la variopinta e per certi versi impassibile scenografia che fa da sfondo al viaggio. Un viaggio di non ritorno, verso l’adilà. Un viaggio infernale, oserei dire dantesco che porta il comandante Willard e il suo drappello di inetti giovanotti americani, in estasi al solo sentire una schitarrata dei loro beniamini rockettari passati in radio ma del tutto impreparati e inadeguati allo spettacolo della guerra, a inabbissarsi nei recessi più reconditi dell’animo umano. Infatti pare davvero che il vulnerabile veicolo su cui si muovono serpeggi sul fiume sottraendosi a schiere di peccatori, purganti e davvero pochi beati. Tutta la traversata sul fiume di sangue si profila allora come un iter forzato e quasi catartico in direzione della radice di tutti i mali, del Lucifero coppoliano dai modi malsani , così come è presentato dai superiori di Willard. Porre fine al suo comando e metterlo a tacere, per sempre, questo è il suo obiettivo in modo che ancora il bene possa avere la meglio sul male. Ma davvero l’enigmatico e oscuro colonnello Kurtz è il male? Ed è esso la cagione di tutte le sfortune americane? Ma realmente questo omone in visibile sovrappeso che non si palesa mai chiaramente e che viene idolatrato da vietnamiti per la sua saggezza è la fonte di ogni immoralità?
Un uomo divorato dal dolore, che recita ad alta voce le più soavi poesie può aver instaurato un impero pagano, fatto di sacrifici, rituali e venerazione incondizionata?
Del resto il Vietnam pennellato da Coppola è più un luogo funereo, dove vince la tetraggine e non c’è mai luce, dove albergano le più ancestrali e animalesche pulsioni dell’uomo che riaffiorano irrefrenabili e veementi. Willard invece, l’eroe omerico moderno, conduce i suoi gelidamente alla meta senza farsi corrompere dalle loro foghe giovanili. E’ sempre schivo, ritroso, essenziale, lucido, di pochissime parole e vuole mantenere fino alla fine la segretezza della missione. E mentre trascina i suoi compagni nella discesa agli Inferi, nella voragine della follia e dell’abiezione umana dà dimostrazione delle sue indubbie capacità di condottiero abile e temerario che vuole oltrepassare le colonne d’Ercole proprio come un Ulisse di altri tempi. Nonostante la fermezza e la perspicacia mai vacillanti nel corso del tragitto, egli vive interiormente il dramma di Kurtz e lo vive senza remore già prima di averlo incontrato, prima di averlo compreso, fin dall’ascolto iniziale della sua voce. Di fronte a Kurtz stesso poi, si volatilizza la sua personalità certo offuscata dal Kurtz-Brando giganteggiante e per dimensioni e per immedesimazione. Diventa in quel momento anche lui un’umile ancella ammaliata dalla profondità e allo stesso tempo dal patimento di Kurtz. Un supplizio che viene scandagliato fino al cuore e che è espressione dell’ insofferenza risoluta all’ipocrisia di un’America menzognera che “prima li fa a brandelli colla mitragliatrice e poi gli offre un cerotto”.
Tale supplizio alla fine risulta irrisolvibile se non con la fine, the end appunto, dell’esistenza e l’ovvia frantumazione della speranza di un cambiamento. Questo viaggio effettivamente antropologico e atavico culmina con l’incendio che purifica tutto e tutti mentre l’orrore rimane, ancora vivido, a incunearsi tra i corpi sfatti funestati da una tragedia denominata guerra. Tuttavia tra le ispessite tenebre anche un raggio di sole filtra seppur languido: è l’apprensione di Kurtz per il figlio, la preoccupazione che il figlio possa non capire oppure non sapere la verità nella sua rifulgente oggettività. Almeno la paternità e l’amore paterno escono indenni da questa nefasta vicenda. Invece per quel che riguarda Brando voglio immaginarmelo congedarsi così dal cinema per mano di Willard ( un intenso Martin Sheen ), realmente insanguinato e morente accasciato a terra con un addio pregiatissimo ornato di un’ interpretazione sicuramente degna di sublimare una carriere altalenante, ma nelle sue luci abbagliante con il vanto di non essere macchiata dalle ultime ultraricompensate ma denigranti comparse.
Infine tra le innumerevoli questioni ontologiche- filosofiche sollevate dal film una ne rimane insoluta: come abbia fatto Coppola dopo un simile capolavoro a disperdersi e ad autoannichilarsi nei film successivi!
P.S: Secondo me la redux ( e in questo dissento dai più) è ancora meglio della versione del '79 perchè se è vero che il film già di per sè era completo nella nuova versione diviene più politico approfondendo alcune tematiche appena accennate ed anche più conturbante ed ironico ( scene del surf) senza troppo appesantire il racconto ma anzi impreziosendolo di una carica ancor più ipnotica e di lenta discesa agli inferi, in modo quasi estenuante e per Willard ed il suo equipaggio e per lo spettatore.
Invia una mail all'autore del commento Antonio.F.M  03/05/2006 02:50:41Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sulla versione estesa la penso come te. Mi sembra anche che i personaggi acquistino una caratterizzazione maggiore, a tutto vantaggio della storia.
Ed anche a me la figura di Kurtz ricorda il Lucifero del Paradiso perduto di Milton (al quale mi sembra che tu velatamente alluda).
"Meglio regnare all'Inferno che servire in Paradiso".
Ma è davvero l'Inferno dove finisce il Fiume?Se la follia e l'orrore sono lo schema, Kurtz ne è solo la conseguenza logica.
L'enunciazione del paradosso stà in un pensiero di Willard: "Accusare qualcuno di assassinio quaggiù, è come fare una multa per eccesso di velocità ad Indianapolis".