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QUELLA NOTTE A MIAMI... regia di Regina King

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Mauro@Lanari     1½ / 10  21/01/2021 04:21:52Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Nel 1990 Gore Vidal, presidente della giuria veneziana, sì comportò come molti oggi con quest'opera, e fece scandalo con un'"opinione fragilissima, ai limiti del ridicolo": "per lui il vero autore del film non è il regista ma lo scrittore, colui che ha steso soggetto e sceneggiatura" (Beniamino Placido: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/09/22/venezia-scatenata-la-vendetta.html). Fosse vero, allora l'esordiente Tate Taylor con Kemp Powers e la sua pièce teatrale andrebbe giudicata per il copione pubblicato direttamente quale testo letterario, se non sa trasformarlo in un codice diverso, quello audiovisivo del cinema ch'esige l'"instant cult" d'inquadratur'e sequenze che dovrebbero scalfire il c.d. immaginario collettivo, mentr'in questo caso, vista (ascoltata?) la sfilza di chiacchiere su chiacchiere, soliloqui, monologhi, dialoghi, mi son'abbioccato. Evviva "Rosencrantz e Guildenstern sono morti" (Stoppard 1990) e l'infinito reboot di "The Big Sleep" (Hawks 1946).

Mauro Lanari
Gruppo STAFF, Moderatore Jellybelly  21/01/2021 10:02:30Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Dai Mauro, non c’è lo straccio di motivazione per un voto così basso. Fa’ almeno lo sforzo di motivarlo, o mi tocca cancellartelo. Grazie!
Mauro@Lanari  21/01/2021 18:41:34Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Appena riformulo il mio straccio, lo posterò. Tranquillo, sarà la prima cosa che tornerò a fare.
Mauro@Lanari  21/01/2021 19:32:18Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
C'era una volta il cinema, quell'in mano pur'ai creativi. Poi le major l'hanno rimpiazzati coi manager, che puntano esclusivamente a ottimizzar'i profitti. Le piattaforme di streaming hann'estremizzato tal'approccio, ergo:
1) tendono ad azzerare gl'investimenti (=>budget sempre più infimi);
=>chiamano a dirigere sempre più debuttanti, quelli che come col selfpublishing sarebbero disposti a lavorare gratis o addirittura rimettendoci di tasca propria;
=>pescano sempre più copioni ready-made dal teatro, tagliando così le spese per soggettisti, sceneggiatori, location, ecc. (mutatis mutandis, idem per sequel, reboot, spinoff).
E già qui tiro una prima linea: una pièce me la guardo s'un palcoscenico, un racconto nato non per le sale me lo leggo. La trasposizione cinematografica ha un suo specifico codic'e un altrettanto specifico criterio di valutazione. Perciò ribalto l'onere della prova: cos'avrebb'aggiunt'o anche solo modificato Regina King passando all'adattamento filmico?
2) gl'argomenti trattati devono minizzar'i fattori di rischio d'impresa (sic), quindi si pescano dai trend topics sui social, dal #metoo al #blacklivesmatter a #'sticaxxi.
Conclusione: in questo sito l'ho scritta io la rece per l'esordio dei Farelly, "Kingpin" è del '96 ed è un capolavoro. Ma è solo tradend'ogni cellula di sé che si giunge allo schifo di "Green Book", e nel 2018 l'Academy plaude per l'avvenuta omologazione, e con l'Academy l'intera categoria delle mosche cocchiere dei professional reviewer. M'è lecito denunciare una deriva del genere o siete diventati tutti velinisti prezzolati? Non vi regalerebbero più i pass festivalieri?
Mauro@Lanari  21/01/2021 23:13:23Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
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C'era una volta il cinema, quello non solo sinonimo d'industria, business, fatturato aziendale bensì ancor'in mano pur'ad artisti e creativi. Poi le major l'hanno rimpiazzati coi manager, che puntano esclusivamente a ottimizzar'i margini di profitto. Le piattaforme di streaming hann'estremizzato tal'approccio, ergo:
1) tendono ad azzerare gl'investimenti (=>budget sempre più infimi);
=>chiamano a dirigere sempre più debuttanti, quelli che come col selfpublishing sarebbero disposti a lavorare gratis o addirittura rimettendoci di tasca propria;
=>attingono sempre più copioni ready-made dal teatro, tagliando così le spese per soggettisti, sceneggiatori, location, ecc. (mutatis mutandis, idem per sequel, reboot, spinoff).
E già qui tiro una prima linea: una pièce me la guardo s'un palcoscenico, un racconto nato non per le sale me lo leggo. La trasposizione cinematografica ha un suo specifico codic'e un altrettanto specifico criterio di valutazione. Perciò ribalto l'onere della prova: cos'avrebb'aggiunt'o anche solo modificato la King nel suo adattamento filmico di Kemp Powers?
2) Gl'argomenti trattati devono minimizzar'i fattori di rischio d'impresa (sic), quindi si pescano dai trend topics sui social, dal #metoo al #blacklivesmatter, dagli #scacchi per il #lockdown a #'sticaxxi.
Insomma: su questo sito l'ho scritta io la rece per l'esordio dei Farelly, "Kingpin" è del '96 ed è un capolavoro. Ma è soltanto tradend'ogni cellula di sé che si giunge allo schifo di "Green Book", e nel 2018 l'Academy plaude per l'avvenuta omologazione, e con l'Academy l'intera categoria delle mosche cocchiere dei professional reviewer. M'è lecito denunciare una deriva del genere o siete diventati tutti velinisti prezzolati? Non vi regalerebbero più i pass festivalieri?
marcogiannelli  15/02/2021 12:45:47Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Se avessi scritto "Questo film non mi è piaciuto perché odio i n**i" ci avrei creduto di più
Mauro@Lanari  21/02/2021 08:08:11Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Vero: odio i n**i", che restassero a Wakanda.
Mauro@Lanari  21/01/2021 04:25:05Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
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"Tate Taylor"? Sorry: Regina King ma, come detto, m'ero imbambolato.