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ULTRA' regia di Ricky Tognazzi

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kafka62     6 / 10  18/02/2018 17:02:15Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Se si fa eccezione per il brutto inizio, un flash-back che, in un convenzionale bianco e nero, introduce rozzamente il tema della violenza giovanile (il finto stupro) e quello, più particolare, del conflitto latente tra Red e Principe (entrambi innamorati della stessa donna), "Ultrà" è un film abbastanza promettente, a tratti persino raffinato. Come è stato fatto per gran parte della produzione cinematografica italiana degli anni '90, anche per "Ultrà" si può parlare (nel bene e nel male) di minimalismo (non però di "neo-neorealismo", e vedremo più avanti il motivo), perché Tognazzi non si propone di analizzare, da un punto di vista sociologico e culturale, le cause e le implicazioni sociali del fenomeno della violenza negli stadi, ma si limita a descrivere (facendolo peraltro molto bene) un universo metropolitano di degrado e di ordinaria disperazione, rifiutando di assumere posizioni moralistiche e lasciando che siano le immagini a parlare da sé. L'approccio fenomenologico contrasta curiosamente con una costruzione narrativa di stampo teatrale (gli ambienti sono quasi tutti angusti e circoscritti, appartamenti popolari, carrozze ferroviarie e sotterranei dello stadio), per cui il richiamo a lontane esperienze neorealistiche appare fuori luogo.
Non mancano poi gli stereotipi, come alcune atmosfere vagamente "western" (la sassaiola in stazione) o il ruvido schematismo con cui sono ritratte le figure di Red e Principe, simbolicamente in lotta per il possesso dell'anima del ragazzino che la sorella ha affidato loro. Proprio il personaggio del ragazzino, sotto il cui sguardo si dipana l'intera storia, è l'invenzione più felice del film, in quanto grazie ad esso Tognazzi riesce a mostrare, senza inutili mediazioni sociologiche, l'irrazionale e ipnotica fascinazione esercitata da quell'incredibile rito tribale (fatto di fanatismo, violenza verbale, razzismo, ma anche di cameratismo e folklore) che è il tifo calcistico. Peccato che, dopo aver operato la scelta (assolutamente da condividere) di escludere dalla rappresentazione diretta proprio ciò che è al centro dell'azione drammatica, vale a dire le partite di calcio il film finisca poi per enfatizzare gli scontri tra le tifoserie avversarie attraverso l'uso di una musica tambureggiante, la quale sortisce l'effetto contrario di spettacolarizzare quella violenza che si voleva condannare. In un film così crudo e concitato, che fa emergere quasi fisicamente un senso di violenza repressa (l'interminabile notte passata in treno è qualcosa di sconvolgente ed inumano), trovano posto, supportati dalla bella musica di Venditti, anche momenti di malinconia per un'età che sta volgendo al termine e di angoscia per l'incombere del futuro (esemplificati dal vecchio ultrà che va a salutare alla stazione gli amici di una volta con il figlio in braccio).
Grande cura è stata prestata ai dialoghi, caratterizzati da suoni, parole e costruzioni sintattiche che, lontani dalle abusate espressioni vernacolari romanesche, rivelano una approfondita ricerca antropologico-linguistica, all'inquadratura, con la valorizzazione dei primi piani e dei dettagli, al montaggio, puntuale nel cogliere le espressioni, ora feroci ora impaurite, dei vari personaggi, e alla recitazione dei giovanissimi attori, con i sorprendenti Ricky Memphis e Giuppy Izzo che non demeritano di fronte al più "esperto" Claudio Amendola, divenuto già da qualche anno una presenza importante del nuovo cinema italiano di allora.