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UN RE A NEW YORK regia di Charles Chaplin

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amterme63     9 / 10  24/09/2008 19:31:05Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Mentre si recava in Europa a presenziare alla prima di Luci della Ribalta nel 1952, Chaplin ricevette la notizia che il suo permesso di rientro negli U.S.A. era stato revocato dal Procuratore Generale Federale. Lo si sospettava di attività "antiamericane" per la sua frequentazione e il suo appoggio a organizzazioni che gravitavano a sinistra. Inoltre il procuratore lo aveva dipinto come "persona disgustosa" e annunciava future rivelazioni sulla sua "immoralità".
Nella realtà Chaplin aveva solo dato il suo appoggio fra il 1942 e il 1943 alla lotta che stava facendo l'Unione Sovietica contro Hitler. Dopo tutto i russi erano persone come le altre e si stavano sacrificando per fronteggiare il nazismo. Anticonformista com'era non guardava alle idee politiche delle persone con cui discuteva o lavorava. Di attività politica militante non ne aveva mai fatta e da tipico individualista professava idee eterodosse non inquadrabili in nessuna ideologia definita. Lo si può definire un "borghese anarchico", fondamentalmente conservatore nella struttura sociale e politica ma profondamente rivoluzionario nei modi in cui questa struttura si doveva esprimere. Era un pacifista contrario a ogni tipo di oppressione sul singolo individuo e a ogni concentrazione di potere politico o economico in poche mani.

Non poteva che finire così, visto l'infuriare negli U.S.A. di uno di quei periodi di isteria e paranoia collettiva che offuscano da sempre la storia democratica di quel paese. Era bastato che l'U.R.S.S. facesse brillare la prima bomba atomica e scatenasse la guerra di Corea, per permettere ai settori politici conservatori e reazionari americani di scatenare una campagna ossessiva di indagine e persecuzione. Avevano colto l'occasione dell'emozione generale per regolare i conti con tutti gli intellettuali che potessero dar noia al proprio potere. Chaplin era uno di questi, visto che fin da Tempi Moderni era stato schedato come "pericoloso" dalle alte sfere politiche e economiche.

Fu questa vicenda il punto di partenza per la sceneggiatura a cui lavorò fra il 1954 e il 1955. Come al solito però Chaplin ebbe l'abilità di trasformare un semplice spunto o stato d'animo in un'opera universale che descrive un'intera società. La parte più politica di A King in New York (Un re a New York) occupa appena il quarto finale del film, il resto è uno sguardo dissacrante sulla società dell'edonismo e del consumo sfrenato. La sua è una denuncia dell'invasione pubblicitaria (e quindi del profitto economico) in tutti i settori del vivere pubblico quotidiano. Giornali, cinema, musica, televisione non mirano a educare o a divertire con gusto e arte il pubblico, ma cercano in tutti i modi di lusingare o stuzzicare i peggiori difetti o tendenze della massa per poter veicolare messaggi commerciali ma anche subdolamente politici. I presupposti da cui partiva Chaplin erano quelli dell'anziano che si trova spaesato e che non vede di buon occhio tutte queste novità di cui i giovani sono entusiasti. Per farlo capire usa il trucco dell'assurdo e dell'esagerazione (per l'epoca). Allora si poteva tranquillamente accusare Chaplin di essere un vecchio matusa sorpassato, ma riguardando questo film dopo 50 anni si rimane allibiti dall'acume e dalla genialità nel prevedere le degenerazioni di un sistema, a cui noi oggi siamo completamente assuefatti.

Dal punto di vista tecnico risente molto della nuova situazione da "esiliato" in cui si trovava Chaplin. Non aveva a disposizione il proprio studio e i propri operatori e i soldi erano contati. Dovette girare in fretta, risparmiando sulle scenografie, senza badare troppo a sottigliezze espressive. La fotografia è decisamente scadente e nel complesso si tratta di un lavoro tecnicamente datato. Alla povertà formale supplisce la grande verve interpretativa di Chaplin, ancora in forma nonostante i 68 anni, e l'efficacia e incisività della satira. Anche questo film è strutturato in successione di gags a ritmo sostenuto, ognuna che crea l'atmosfera per l'altra. Oltre all'uso dell'ironia che colpisce tutti i personaggi, in questo film Chaplin riprende il vecchio stile slapstick e in diverse scene ci sono autocitazioni da suoi vecchi cortometraggi.

La prima avvenne a Londra il 12 settembre 1957. Le accoglienze furono contrastate. Apprezzando l'interpretazione di Chaplin, si faceva capire fra le righe che il suo modo di fare film era ormai tecnicamente sorpassato. Anche il messaggio del film veniva interpretato come una vendetta personale del regista nei confronti degli Stati Uniti, derogando dalla sua abitudine di trattare temi universali. Rivisto oggi appare attualissimo, visto che di cacce alle streghe se ne continuano a fare e che il sistema dell'imbonimento collettivo è nel suo pieno fulgore.


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La vera faccia dell'America è però quella di Ann Kay: iperattiva, ottimista, edonista, superficiale, materialista. Non si preoccupa più di tanto per lo stato politico di isteria: "passerà presto". Chaplin non si perita però di dare l'ultimo schiaffo morale anche a questa faccia d'America. Ann Kay alla partenza del re è tutta zuccherosa perché ha ricevuto in regalo da lui una pelliccia di visone. Si capisce fra le righe che ha ceduto alle avances sessuali di Shahdov. Ecco qua un mondo che non conosce sentimenti amorosi, solo scambi commerciali e sfoggio di oggetti. In effetti questo film sembra proprio l'antitesi di Luci della ribalta: senza sentimento, senza amore, senza solidarietà. Sembra rappresentare la vittoria incontrastata della materialistica società dei consumi su qualunque idealità collettiva. Il finale in effetti, fra i meno drammatici dei film di Chaplin, sembra solo sancire uno stato di cose senza indicare qualche speranza nel futuro.