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MUNICH regia di Steven Spielberg

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kafka62     7½ / 10  16/05/2018 09:49:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Arriva il giorno in cui una civiltà per sopravvivere deve necessariamente scendere a compromessi con i propri valori". Questo ragionamento, che potrebbe benissimo essere uscito dalla bocca di George Bush, viene fatto in "Munich", nel corso di una riunione segretissima, dal primo ministro israeliano Golda Meir all'indomani della famosa strage di atleti israeliani alle Olimpiadi del 1972. L'interlocutore della Meir è Avner, un agente speciale cui viene affidato, al di fuori di qualsiasi legge e di qualsiasi controllo, l'incarico di uccidere all'estero undici personalità palestinesi coinvolte nell'organizzazione dell'attentato. Il film di Spielberg si snoda tra questi due poli, la logica di stato, cinica e spietata, da una parte e il punto di vista individuale, gravido di dubbi e di perplessità, dall'altra, ed in questo percorso dialettico trova un notevole spessore etico e filosofico. E' lecito, si chiede più volte Avner, calpestare ogni legge e ogni morale in nome dell'amor patrio (qui termini come "casa" e "famiglia" vengono frequentemente usati in una accezione fortemente retorica)? E' lecito difendere il proprio popolo utilizzando la strategia del "male minore", cioè operando sanguinose ritorsioni per far capire che "uccidere un israeliano è molto costoso" o addirittura attaccando per primi per prevenire possibili attentati ai propri danni? Avner è convinto di poter arrivare un giorno a svolgere la propria missione come un lavoro qualunque, con amorale efficienza e senza alcun coinvolgimento emotivo. Ma una notte si trova per caso con i suoi uomini a dividere ad Atene una stanza con un gruppo di palestinesi che fa lo stesso identico lavoro ma dalla parte opposta, e confrontandosi con il suo capo scopre con angoscia una speculare somiglianza di valori: entrambi sono soldati che combattono per una causa che credono giusta (ma che è invece intrinsecamente sbagliata, perché come si fa a trovare la legittimazione di una vendetta di una vendetta di una vendetta di una vendetta…?). Questo confronto fa sorgere in Avner una serie di domande complesse ma ineludibili, che finiscono per trasformarlo in una sorta di personaggio tragico, ossessionato dalle conseguenze delle proprie azioni passate e costretto addirittura a lasciare Israele con la sua famiglia perché incapace di riconoscersi nell'idea di patria che gli è stata inculcata dalla retorica nazionalista.
Certo, non tutto è tragico nell'opera di Spielberg. Da consumato regista di blockbusters qual è, egli sa alternare riflessione e spettacolo, vivificando le reiterate (e potenzialmente addirittura noiose) esecuzioni degli obiettivi palestinesi con astuti tocchi di suspense (come nella hitchcockiana scena del telefono-bomba, con la bambina che rientra inaspettatamente nell'appartamento pochi attimi prima dell'esplosione, o come nella sequenza ateniese in cui l'ordigno artigianale non scoppia), con il meccanismo dei flashback (con cui rivediamo come un incubo intermittente le immagini della strage di Monaco), con digressioni narrative apparentemente immotivate (la visita in un posto segreto della campagna francese al padre dell'uomo che gli fornisce informazioni a pagamento) e addirittura con l'aggiunta di un intreccio tipicamente spionistico (dove l'intervento contemporaneo di Mossad, OLP, KGB e CIA, in un'Europa in cui ogni legalità sembra pura illusione, rende ogni episodio opaco e difficilmente interpretabile). Nonostante alcune sporadiche riserve, non possiamo non inchinarci ancora una volta alla abilità di Spielberg, il quale è a tutt'oggi l'unico regista ad Hollywood che abbia il coraggio di affrontare storie, spesso ostiche, di grande impegno civile e politico senza per questo rinunciare a un cinema capace di piacere anche al grande pubblico.