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CRY MACHO - RITORNO A CASA regia di Clint Eastwood

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Filman     7½ / 10  05/12/2021 23:17:56Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non tutti i cineasti possono vantarsi di aver segnato la storia del cinema prima come attore e poi come regista. Ma la presenza del volto di Clint Eastwood nei film che egli stesso dirige ha una funzione più importante di quella promozionale o autocelebrativa.
Senza Eastwood ad interpretare i film di Eastwood, tutta la sua costruzione poetica verrebbe meno.
Sicuramente non si può negare che Eastwood non faccia film (anche) per esibire la sua virilità, mostrare le sue capacità e immortalare in presa diretta il superamento dei suoi limiti. Se già nel 1975 dirigeva Assassinio sull'Eiger per mostrare a tutti le sue capacità di self-stuntman nello scalare le pareti rocciose, possiamo non rimanere sorpresi se a 91 anni Eastwood voglia dimostrare a tutti quanto sia ancora capace di cavalcare un cavallo, affascinare le donzelle, fare a cazzotti o anche solo stendersi e piegarsi a terra, considerando l'età.
E non è solo il pensiero di un novantenne: Eastwood si raccontava così attraverso uno dei suoi personaggi anche vent'anni fa in Space Cowboys (2000) sostenendo che la vecchiaia non fosse un limite, neanche per un astronauta in pensione.
Tuttavia, se si scava più a fondo si scopre che il filo che unisce l'Eastwood attore e l'Eastwood regista crea un ricamo più ampio e decorato.
Il ruolo preferito da Eastwood, per esempio, è ancora quello del cowboy e non necessariamente un duro con stivali a punta, cappello e cravattino texano, ma in generale un uomo padrone del suo mondo, la cui immagine del passato rivendica uno spazio nel presente.
Dalla nostalgica e romantica idea del cowboy nel mondo moderno di Bronco Billy (1980) fino ad un western critico come Gli Spietati (1992), il quale anch'esso, in maniera strutturata, richiamava all'ordine la figura di un mito in pensione, si capisce come il tempo non sia capace di snaturare la figura del cowboy, ovvero la figura di Clint Eastwood, ovvero quella dei suoi personaggi.
Il cowboy non è in realtà solo una testimonianza mitologica per l'autore, bensì un'eredità ideologica, una figura anarchica necessaria all'interno di una società in cui lo stato di diritto non può essere sempre presente. E' l'eroe che fa giustizia da sé perché per combattere un male terrorista c'è bisogno a volte di andare aldilà della legge, delle formalità, della burocrazia.
Trattasi di un macro-tema che include praticamente quasi tutti i suoi film, nato nei suoi western e nei derivativi polizieschi e thriller-action degli anni 70-80. Macro-tema che successivamente matura artisticamente in Mystic River (2003), un neo-noir che porta agli estremi la vendetta privata. Macro-tema che inghiotte i suoi biopic degli ultimi anni (Sully del 2016 e Richard Jewell del 2019), i quali immortalano un mondo che chiude sempre più le porte a questo concetto non banalizzato di eroe.
CRY MACHO racconta la nuova avventura di Clint Eastwood, un personaggio che nel corso dei suoi film ha cambiato nome, lavoro ed abiti ma che in realtà è sempre lo stesso. Racconta il nulla da perdere e l'importanza delle motivazioni. Racconta del viaggio di un vecchio, un giovane e un pollo e lo fa con una retorica che tira su i lembi delle labbra invece che far roteare in su gli occhi, sintomo di una sceneggiatura sana.
Così come in Gran Torino (2008), in cui il tema dell'anzianità veniva affrontato quasi pedagogicamente, è proprio il rapporto intergenerazionale la chiave di volta per dare dignità al tanto vituperato "essere vecchi". Se da un lato è difficile credere a quei movimenti da rissa per un uomo ossuto e acciaccato come Eastwood, è proprio quel suo essere esile e scarno a dare poeticità e malinconia alle migliori inquadrature.
Oltre ad essere un film di puro intrattenimento è anche un film di anima e cuore. Cosa aspettarsi in fondo da un regista che da decenni interpreta sé stesso, raccontando sé stesso attraverso i suoi stessi personaggi e i loro più profondi ideali?