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BLONDE regia di Andrew Dominik

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Thorondir     8½ / 10  02/07/2023 18:22:50Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Per chi conosce Andrew Dominik era chiaro che questo non potesse essere un biopic canonico: non solo perché è in realtà l'adattamento di un romanzo, ma anche perché ciò che Dominik fa non è il riassunto anonimo ed evenemenziale della vita della Monroe, quando un suo ritratto allo stesso tempo intimo e brutale sia sul concetto cinematografico di immagine sia sull'immagine stessa che della Monroe è stata divinizzata. Tramite il corpo della diva Dominik conduce un atto d'accusa contro lo stesso sistema che l'aveva eletta a bambola da sfruttare, a immagine da idolatrare, a pezzo di carne da utilizzare. È quello stesso corpo che Dominik "utilizza" ora per svelare lo schifo di quel "sistema hollywoodiano" che non a caso non ha mai amato un cineasta come Dominik. Ma questo è anche un film teso a svelare la dicotomia di Marilyn, quella tra la mente di Norma e le sue proiezioni mentali e, di nuovo, quel corpo, che è invece quello della Marilyn che tutti guardano e che si guarda allo specchio consapevole che quello è ciò che gli altri bramano, mentre lei vorrebbe apparire per ciò che è e non per ciò che gli impongono di essere (e l'immagine di lei che si guarda/che viene guardata allo specchio è ricorrente per tutto il film). È quindi il ritratto decadente, disperato, si, anche provocatore, della fragilità dietro l'immagine, della depressione nascosta dal trionfo dell'apparire, del successo a mascherare i vuoti e le inascoltate grida. Perché questo è anche un horror dell'anima, un thriller, un dramma esistenziale, un torture porn, un film romantico (splendida la sequenza del bacio con Arthur Miller) e un grande esempio di sperimentazione stilistica e visiva: e non a caso Dominik ha dichiarato di aver scelto il cambio di aspect ratio e l'alternanza del colore e del bianco e nero in base alle foto di Marilyn degli anni '50 e '60. E non attribuite a Dominik intenti retrogradi o feticisti: perché "Blonde" è non solo un atto d'accusa di tre ore contro il machismo più tossico ma è anche (e direi soprattutto) uno sperimentare con le immagini per rendere gli stati emotivi di un'icona tragica, incompresa, in perenne lotta con i propri demoni interiori.