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BERSAGLIO DI NOTTE regia di Arthur Penn

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ULTRAVIOLENCE78     9 / 10  18/03/2009 19:37:57Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Siamo negli anni seguenti la morte di John e Bob Kennedy: l’”american dream”, dopo aver mostrato le sue crepe, va inesorabilmente dissipandosi, dopodichè cala la più amara disillusione. Arthur Penn coglie il disagio diffuso dell’epoca e lo trasfonde sui personaggi della sua opera per metterne in luce, però, un malessere che va oltre il contingente: egli riesce a far tratto tratto affiorare, attraverso uno stile descrittivo efficace e minimalista, il senso di disfatta e d’impotenza che attanaglia il soggetto e che riviene dalla sua incapacità di comunicare col prossimo e di trasmettergli i propri sentimenti: dalla distanza incolmabile che separa ogni individuo, e che fa di ciascuno di noi una barca alla deriva in una mare sconfinato (cfr. sequenza finale).
La narrazione corre su due filoni paralleli: da un lato, vediamo l’investigatore Harry Moseby impegnato nella ricerca di una ragazzina di famiglia ricca, scappata di casa per allontanarsi dalla madre: una ex attrice(tta) lacerata dal declino e dalla solitudine; dall’altro si segue lo svolgersi della crisi matrimoniale dello stesso Moseby a partire dalla scoperta, che questi fa, della relazione extra-coniugale della moglie. E in questo doppio dipanarsi della trama si assiste al duplice e progressivo “disfacimento” interiore del protagonista, sempre più distante dal proprio passato sia professionale che affettivo. Egli non si riconosce più in quello che fa: l’attività di investigatore, paradossalmente, gli fa perdere contatto con la realtà, ed ogni scoperta, ogni ulteriore passo “indagatore” che implica il suo lavoro lo allontana sempre di più dalla verità delle cose. Ciò si riflette sia sul suo rapporto con la moglie, ormai irrimediabilmente compromesso, sia sul decorso degli eventi che riguardano l’adolescente oggetto delle sue indagini: il puntiglioso e meticoloso piglio “investigativo” di Moseby lo condurrà soltanto ad un disvelamento superficiale della realtà, a fermarsi a ciò che appare esternamente senza permettergli di inoltrarsi a scandagliare i recessi, le zone più celate ma anche più “vere” della realtà stessa. Così le scoperta cui egli giungerà non faranno che peggiorare e far precipitare le situazioni in cui è direttamente e indirettamente coinvolto, con disastrose conseguenze sia per sé e sua moglie che per la giovane Danny.
Quanto alla possibilità, tra due soggetti, di trovare una reciproca e profonda empatia, questa sembra essere confinata nello spazio angusto della fugacità di brevi momenti: così come emerge dall’incontro tra il protagonista e la donna, in cui lo stesso s’imbatterà nel prosieguo delle sue indagini: incontro che è destinato a interrompersi “brutalmente”.
Ciò che il film lascia, alla fine, è un notevole senso di spaesamento per l’impossibilità di penetrare la verità delle cose, la quale è destinata a rimanere sommersa e a “marcire” lentamente come i cadaveri inabissati, che assurgono a metafora-“leit motiv” dell’opera di Penn (ce ne è anche per una citazione de “La morte corre sul fiume”).
Grandissima l’interpretazione di Gene Hackman –un anno dopo quella memorabile, e per certi aspetti similare, de “La Conversazione”, il quale riesce a infondere al suo personaggio tutto il disagio e l’impotenza derivanti dall’incapacità di decodificare una realtà che si presenta ai suoi occhi sempre più indecifrabile. E sotto quest’ultimo aspetto “Bersaglio di Notte”, assieme alla succitata pellicola di Coppola, si pone come uno dei più importanti esempi –nell’ambito della produzione americana degli anni ’70 e non solo- di cinema incentrato sulla crisi del soggetto.