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FERRARI regia di Michael Mann

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stratoZ     7½ / 10  04/01/2024 18:20:23Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ATTENZIONE POSSIBILI SPOILER

L’ultima fatica di Michael Mann è un film coerente ma soprattutto aderente col suo stile, sebbene sia lontano dagli intrecci poliziesco/metropolitani per cui l’autore è diventato famoso conserva una forte impronta personale, specie se si guarda la caratterizzazione dei personaggi, in primis il protagonista, un uomo che dovrebbe essere considerato nel suo paese quasi come una divinità per il suo successo, il suo status di vincente, la passione per le corse che trasmette e le grandi possibilità lavorative che la sua industria offre ai cittadini, e invece Mann sfuma parecchio questo personaggio, mettendo a nudo tutte le sue debolezze, da un’elaborazione del lutto non del tutto risolta anche per via di un senso di colpa latente ai forti dubbi riguardanti le scelte sia imprenditoriali che nella vita privata, essendo un uomo sotto i riflettori mi ha dato l’impressione di non voler lasciare definitivamente la moglie per una questione di immagine per entrambi - contestualizzata all’Italia degli anni 50’ -, nonostante la lunga relazione extraconiugale intrapresa, discorso ben diverso e più sentito per l’aspetto imprenditoriale, con quell’orgoglio tipico dell’uomo del novecento, attaccato alla sua creatura - la ditta, ma anche la singola macchina in se - tanto da non voler scendere a compromessi: è la sua arte, è la sua grandezza, un eventuale partner sarebbe vitale per l’azienda, ma anche una potenziale minaccia per il suo miglior modo d’esprimersi e rimanere impresso nella storia.

Ferrari è un film fatalista, in cui la morte incombe continuamente, raramente ho visto un film sul genere automobilistico essere così pessimista e spogliato del tipico pathos e del lirismo con cui vengono rappresentate le vittorie, qui sia la narrazione che la messa in scena di Mann invece puntano a togliere tutta la gloria, sia al protagonista che agli stessi piloti, le scene della gara principale stessa sono asciugate e prive di tensione, si conserva qualche rallenty per accrescere il senso estetico ma vi è ben poco focus sulla competitività della gara in se, se non in un ambito di sopravvivenza dell’azienda, una sorta di vittoria mutilata per cui non gioisce nessuno, che lascia lo spettatore in bilico e a chiedersi se ne sia valsa la pena, ma che mostra anche l’accanimento del fato.
Dalla fotografia cupa e poco contrastata, con un ocra predominante ma essenzialmente desaturato, mostra un'Italia lontana dagli stereotipi d’oltreoceano, Driver ce la mette tutta e sforna l’ennesima interpretazione di valore, in un personaggio che stando così in alto deve mantenere la sua impassibilità anche quando non vorrebbe, così come la Cruz che nella sua versione imbruttita e ossessiva regala un personaggio di grande spessore e maturità.

Mann ad ottant'anni suonati continua a porre domande e far riflettere, continua ad assottigliare la linea, ormai invisibile tra bene e male, sfuma e rende umani i caratteri con una naturalezza imbarazzante, vola lontano dagli schieramenti di pancia tipici di Hollywood, non rinunciando comunque a romanzare e creare una forte empatia - guardare la morte di de Portago e tutti gli affetti correlati ad esso, dalla fidanzata al piccolo Piero -
Mann ad ottanta anni è ancora un grande autore.