Dom Cobb 10 / 10 28/02/2019 19:58:36 » Rispondi Norimberga, 1948: un giudice di provincia viene chiamato a giudicare quattro funzionari del fu governo nazista nell'ambito dei famosi processi per crimini contro l'umanità. Fra testimonianze riluttanti, casi giudiziari scomodi, immagini disturbanti e un quadro geopolitico già in fase avanzata di preparazione per la Guerra Fredda, la battaglia dentro e fuori dalle aule del tribunale si profila tutt'altro che facile... Se c'è un genere di film difficile da portare sul grande schermo con successo, in un modo che sia convincente e non risulti manipolatorio, allora quello è il cinema di denuncia: più di tutti gli altri, suo scopo primario è di lanciare critiche, anche aspre all'occorrenza, scomodare gli animi, sollevare questioni scottanti sui lati oscuri della nostra società e dell'individuo stesso. E se c'è un regista che più di tutti gli altri ha rappresentato questo tipo di cinema al suo meglio, quello è Stanley Kramer, che col senno di poi, con questo film firma il suo capolavoro assoluto. D'altronde, ammassare un vero e proprio esercito di stelle dell'epoca e un tale numero di talenti difficilmente avrebbe portato a un risultato diverso. "Vincitori e vinti" riporta in scena una delle pagine più note dell'immediato secondo dopoguerra: è uno di quei film che si snoda su una serie più o meno lunga di discussioni, dibattiti e conversazioni, la maggior parte delle quali si svolge in un unico ambiente, quello dell'aula giudiziaria; eppure fin dall'inizio, fin da quando la telecamera scorre sui vari avvocati e traduttori intenti a sbrogliare le formalità introduttive del processo per poi zoomare improvvisamente sul difensore e cambiare lingua dal tedesco all'italiano, mette il piede sul pedale della suspense e della tensione e lo tiene premuto senza interruzione per tutta la durata del film. Da quel momento in poi, la pellicola si regge tutta su un'atmosfera asfissiante e claustrofobica, su una sceneggiatura serratissima e intelligente e interpretazioni maiuscole da parte di tutta la lunga parata di celebrità. Registicamente parlando, non c'è molto da dire, e in effetti Kramer si limita a valorizzare al massimo gli elementi che ha fra le mani, indugiando sui volti degli attori nel corso dei loro monologhi anche per lunghi minuti quando necessario, sfruttando il valore aggiunto del bianco e nero per accrescere la tensione (splendida fotografia di Ernest Laszlo) e lasciando che siano le interpretazioni e i dialoghi a fare il grosso del lavoro. L'aspetto più lodevole è appunto il ritmo, serrato e teso, capace di far volare in un soffio la lunga durata di quasi tre ore, come se nulla fosse. Delle prestazioni attoriali è difficile dire quale sia la migliore, perché alla fine tutte quante lasciano il segno, da un Spencer Tracy dubbioso e onesto fino in fondo a una comparsata breve, ma assolutamente intensa di Montgomery Clift, senza dimenticarsi di una riluttante Judy Garland e di una Marlene Dietrich ancora incarnazione pura del glamour.
Fra le piccole sorprese del film, il capitano Kirk in persona, un ancora giovane William Shatner, appare in un ruolo secondario.
Per opinione personale, sono due a giganteggiare su tutti gli altri, un'autentica gara di intensità fra l'avvocato difensore di Maximilian Schell e il Janning di Burt Lancaster, uno più mozzafiato dell'altro; non vorrei essere uno dei membri dell'Academy costretto a scegliere fra i due, perché si tratta di una sfida che per me finisce alla pari. Ma il vero punto forte della pellicola è una sceneggiatura a prova di bomba, che giustamente è valsa ad Abby Mann un Oscar: è una di quelle sceneggiature che oggigiorno non si scrivono più, che invece di andare sul sicuro non ha alcuna paura di massacrare tutto e tutti, sfornando a mitraglietta una serie di monologhi e scambi da antologia e sviscerando i pro e i contro di una situazione talmente spinosa. In questa versione dei fatti, nessuno è innocente, tutti sono in qualche modo colpevoli e responsabili della tragedia che si è abbattuta sul mondo intero; in questa versione dei fatti, la giustizia stessa viene rivelata in tutta la sua fragilità e mutevolezza alla luce dei diversi contesti sociali e politici; e insieme ad essa anche la tendenza tutta umana a dimenticare fin troppo facilmente.
Ho particolarmente apprezzato le aperte critiche all'industrialismo americano, al governo russo di Stalin e addirittura al Vaticano stesso, il cui implicito benestare ha permesso alla piaga del nazismo non solo di prosperare, ma anche a rafforzarsi fino a diventare la minaccia che tutti conoscono dai libri di storia. Così come un buon commento è quello che il difensore fa nei confronti delle "alte morali" degli americani, degli uomini che hanno sganciato bombe atomiche su civili, donne e bambini. Così come è più che comprensibile il punto di vista offerto dal contrito Janning nella sua lunga confessione: fin dove può spingere il senso di patriottismo, la fierezza di appartenere a un popolo, la paura di non poter sopravvivere, la voglia di andare avanti? E la ciliegina sulla torta è rappresentata dai militari americani che fanno pressione sul giudice affinché non condanni gli imputati, solo per poter contare sull'aiuto tedesco per accaparrarsi la loro parte di Germania. Logico, dato il contesto; ma come dice Spencer Tracy, "non sempre quello che è logico è anche giusto".
I complimenti per descrivere la brillante perfezione di questo film sono troppi per inserirli in quella che dovrebbe essere semplicemente la versione scritta dell'opinione di un cinefilo come un altro; ma l'alta qualità del prodotto finale mi spingono a dichiararlo qui ed ora come uno dei migliori film che abbia visto non solo nel corso della mia retrospettiva, ma in generale. "Vincitori e vinti" trascende il genere di cui fa parte grazie alla passione con cui è stato realizzato, alle tematiche che affronta e soprattutto a come le affronta. E' un pugno allo stomaco, un appello ferreo e determinato, in special modo alla luce dello spiazzante finale, che ci informa delle "conseguenze" dei processi di quei giorni. La prova lampante che ancora oggi purtroppo non abbiamo imparato nulla.