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LA CHIMERA regia di Alice Rohrwacher

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stratoZ     8 / 10  04/03/2024 13:09:18Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ATTENZIONE POSSIBILI SPOILER

Bellissimo film di Alice Rohrwacher che si conferma ancora una volta una regista straordinaria, “La chimera” compone una trilogia ideale con “Le meraviglie” e “Lazzaro felice” condividendone lo stile vagamente surreale ma anche l’ambientazione prettamente bucolica nonché quello sguardo un po’ nostalgico un po’ ironico sull’Italia, ecco queste componenti, che possono richiamare anche il cinema d’autore nostrano tra i 60’ e i 70’ caratterizzano l’opera in questione.

Josh O’Connor interpreta questo archeologo inglese col dono di percepire i punti dove vi sono delle tombe, in questo caso etrusche, data l’ambientazione nella Tuscia, però al posto di utilizzare questo dono per scovare ufficialmente nuovi beni culturali ne approfitta per arricchirsi personalmente, assieme alla sua banda, quindi vendendo questi beni di contrabbando.
Il film ha un incedere tra il folkloristico e il surreale, svariando nel corso della durata tra diverse tematiche: c’è la fervida autoironia sul popolo italico, con questi amici rappresentati come un pugno di sbandati, dalla goliardia e l’arrivismo tipico che può ricordare molti personaggi della commedia all’italiana, personaggi che però sono molto approfonditi e non lasciano spazio solo alla componente umoristica quanto ad un disagio di fondo e un’arretratezza culturale che non gli permette di uscire dalla loro condizione - è abbastanza esplicitato dalla regista nel modo in cui trattano le donne - questa situazione loro di depredazione, di brama a tutti i costi, così distruttiva si contrappone alla voglia di rinascita che poi Italia e le altre ragazze troveranno nel far rifiorire la vecchia stazione e creare una comunità solidale e che valorizza il posto.

L’altro contrasto che si viene a notare nel film è quello tra antichità e modernità, reso esplicito dalla fabbrica costruita proprio sopra la necropoli etrusca - probabilmente vi è una critica di fondo alla noncuranza dei reperti archeologici e alla mentalità che, specialmente in passato, mostrava una certa negligenza nei confronti di questi patrimoni culturali - ma si nota anche nei personaggi, come quello di Flora, restata da sola nella sua vetusta villa, che praticamente sta cadendo a pezzi per aspettare l’amata figlia, ormai scomparsa, nonché amante dello stesso protagonista, una perdita che probabilmente nessuno dei due personaggi ha mai elaborato e li lascia ancorati al passato.

Poi c’è la scena del ritrovamento della statua, su cui posso dire solo una cosa: è la metafora più vicina all’Italia che mi sia capitato di vedere.

Lo stile è straordinario, così come le ambientazioni, dalla fotografia pittorica, l’autrice mischia un classicismo di fondo, colmo di simbolismi, al postmodernismo, sposando gli stessi contrasti che presenta il film, come si può notare in saltuari episodi in cui sfonda anche la quarta parete, ma ciò che più colpisce è la poeticità di alcune sequenze semplicemente straordinarie, senza mai eccedere, dai momenti cantati con quei menestrelli che propongono uno sguardo disilluso quanto compiaciuto verso i tombaroli ai momenti lisergici, come le visioni in treno dettate dal senso di colpa di Arthur, fino ad arrivare ad uno struggentissimo finale che chiude perfettamente il cerchio con una delicatezza straordinaria, e che dire.