Boromir 7½ / 10 05/02/2024 16:23:31 » Rispondi Con la sua opera meno accessibile, più simbolica e dai ritmi più dilatati, Hayao Miyazaki non rinuncia al gusto dell'epopea insita nel coming-of-age ma, in quest'occasione, diviene quasi un clone del compianto amico-collega Isao Takahata, con la cui produzione The Boy and the Heron condivide una più spiccata seriosità e una profondità di pensiero più estrema nelle riflessioni astratte e nella caratterizzazione di personaggi introversi. I temi di accettazione della morte, connessione tra nuovi universi e reminiscenze del passato, le divagazioni sui doppi e sull'importanza di soglie, portali e passaggi non offrono un senso univoco alla visione: ma forse è proprio questa la grandezza del film, nell'accresciuta consapevolezza che forse nemmeno la saggezza senile può fornire risposte ontologiche. E poi ci sono i tratti disegnati a mano e le distorsioni avvolgenti del movimento, frutto di un monumentale lavoro durato sette anni, pura arte dell'immagine che attraversa lo spazio-tempo, trasfigura la realtà in magica e instabile illusione, si proietta in un futuro lontano e tutto da costruire.