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UNA LEZIONE D'AMORE regia di Ingmar Bergman

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kafka62     6 / 10  16/05/2018 09:33:00Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Spigliato, effervescente nei dialoghi, piccante quel tanto che basta per creare un'atmosfera di libertinismo à la pàge (dietro al quale si nascondono però i consueti temi di Bergman, dalla provvisorietà dei rapporti umani alla paura della solitudine), "Una lezione d'amore" è un film che, pur nella sua evidente povertà formale e nella teatralità dell'ambientazione, del découpage e delle entrate ed uscite di scena dei personaggi, sembra stare a "Sorrisi di una notte d'estate" come "Prigione" o "Una estate d'amore" stanno ai grandi drammi della maturità: stesso ritmo, stessa disinvoltura, stessa grazia (anche quando si tratta, anziché di forbiti epigrammi, di battutacce del tipo: "Ma se, come voi dite, il Padreterno ha fatto prima la donna con cura e poi l'uomo alla bell'e meglio, come la mettiamo con la costola mancante?" "Già, è vero, ma a noi uomini l'ha fatta spuntare un poco più sotto"), e in più quel tocco da screwball comedy americana, che si riconosce soprattutto in una riuscita scena alla Ernst Lubitsch (David scommette con un passeggero del treno, il quale se la spaccia da seduttore, che riuscirà a baciare l'altera Marianne prima di giungere a Malmö, senza però che questi possa immaginare che i due sono marito e moglie: davvero esilaranti il suo sbigottimento e il suo strabuzzar d'occhi – del resto, è una sorpresa anche per lo spettatore – quando davanti a lui la coppia inizia a baciarsi appassionatamente e disinibitamente). Certo, Bjornstrand e la Dahlbeck non sono Cary Grant o Grace Kelly, ma nelle divertenti schermaglie amorose in treno (un po' meno quando vengono ringiovaniti nei flashback) si comportano da grandi attori.
Finché reggono la brillantezza dei dialoghi e lo spunto di partenza (l'abbandono precipitoso dell'amante per correre dietro alla legittima consorte), "Una lezione d'amore" è un ottimo film. Il suo punto debole risiede purtroppo in quello che è il perno della sua architettura narrativa: il flashback. Durante il viaggio scorrono, evocati ora da una foto ora da una frase della conversazione, ricordi sparsi di una vita sentimentale che ha attraversato, in una inesorabile parabola discendente, tutte le fasi, dall'idillio alla nausea (Marianne stessa dice a un certo punto che "l'amore è una spasmodica smorfia che finisce in uno sbadiglio"). Alla lunga, però, questo andamento oscillante tra presente e passato rivela una stanca e ripetitiva meccanicità. Con gli episodi ridotti per lo più a sketch da operetta (il matrimonio con Carlo Adamo saltato all'ultimo momento per un tardivo sussulto di resipiscenza di Marianne) o a gag spiritose ma di corto respiro (la scoperta degli amanti nella stanza d'albergo), il film si sfilaccia irrimediabilmente, e viene per giunta penalizzato da uno stile il quale, dal montaggio dilettantesco (i passaggi da una sequenza all'altra non risultano molto diversi da quelli di tanta commediaccia all'italiana di quegli anni, senza neppure lo sforzo di una ellissi un po' originale ed inventiva) alla fotografia anonima (capace tutt'al più di qualche velleitario sprazzo bucolico nel bosco dell'ultimo flashback; non a caso è il primo film da "Prigione" – e sarà anche l'ultimo, con la sola eccezione di "Alle soglie della vita" – in cui non compaiono come direttori della fotografia né Gunnar Fischer né Sven Nykvyst), non risulta degno di Bergman.
Se "Una lezione d'amore" non giunge mai alla noia, certo il sentimentalismo catechizzante che si respira nella festa per il compleanno del nonno ci va pericolosamente vicino. La caotica sarabanda al night è l'estremo, vano tentativo operato dal regista di rivitalizzare il finale per mezzo dei rassicuranti meccanismi della pochade, ma ottiene il solo risultato di far cadere nel ridicolo l'indubbia classe della Dalhbeck. Il puttino che, nell'ultima inquadratura, entra nella stanza degli amanti è solo il gustoso, anacronistico (gustoso proprio perché anacronistico) suggello a una morale che in realtà avevamo capito già da un pezzo: vale a dire, l'uomo e la donna, per quanto possano odiarsi, tradirsi, imporsi di rimanere soli, sono in realtà fatti per vivere l'uno con l'altra. "Sesso e decesso – diceva Woody Allen – sono le uniche due cose che contano nella vita". In "Lezione d'amore" Bergman si fa gioioso e burlesco cantore delle croci e delle delizie del talamo coniugale (senza peraltro trascurare le scappatelle adulterine), ma, tra le pieghe di questo ironico marivaudage, è già presente il grande tema della morte, come i suoi ammiratori scopriranno nei film successivi.