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LA 25a ORA regia di Spike Lee

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Niegghia92     5 / 10  24/03/2013 15:21:39Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Se questo è considerato il miglior film di Spike Lee siam messi male allora...
Una storia che sa di "già visto",un'insieme di vicende e fatti per niente importanti ai fini della trama. Qualcuno mi spieghi l'importanza che ha nel film la "pedofilia" dell'amico del protagonista e la sua scolaretta. Questo film si riprende alla grande solo nel finale e nella metafora della 25 ora...per il resto,nulla di eccezionale e NON MOSTRA AFFATTO IL PERIODO DI CRISI AMERICANO DOPO L'11 SETTEMBRE,visto che si fa solo qualche riferimento qua e là.
Invia una mail all'autore del commento Project Pat  26/03/2013 22:02:38Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Essendo anch'io un grande fan di Spike Lee ed essendo proprio per questo rimasto (per così dire) infastidito da questo prodotto, non posso che appoggiarti in pieno: sopravvalutato da far paura.
Se ti interessa, va a dare un'occhiata anche al mio commento al film.
Niegghia92  24/03/2013 15:22:55Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Dimenticavo:Spike Lee è l'ultimo che deve dare lezioni di cinema a Tarantino.
charles  29/06/2014 15:48:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Attenzione: commento con spoiler

Cerco di rispondere alla tua domanda sul significato di alcune scene. Devo dire che non sono neppure molto d’accordo sul fatto che questo film non mostri il periodo di crisi americano dopo l’11/9: al contrario penso che questo film mostri molto di più, e con un linguaggio cinematografico eccellente che dimostra la maturità di un grande regista.
Rispetto ovviamente il tuo voto e senza aver la presunzione di voler spiegare il film, anche perché ognuno lo valuta e vede con i propri occhi, voglio dirti perché a questa pellicola, che considero tuttora il miglior film americano degli ultimi anni, ho dato il voto 9,5:
i tre protagonisti, caratterizzati come sempre in maniera eccezionale da Spike e molto ben interpretati da tre grandi attori (uno dei quali purtroppo recentemente ci ha lasciati), sono tre bianchi benestanti che vivono in una New York capace di regalare un “sogno americano” ormai solo a chi viene da condizioni di miseria e povertà, e spesso dall’altra parte del mondo. E' la stessa New York che invece isola (in splendidi appartamenti che affacciano sul nulla di una voragine minacciosa e cupa) e corrompe chi ancora si identifica con un modello occidentale in crisi, che vacilla sotto i colpi inferti da un onnipresente mercato della droga, da una finanza speculativa dai facili guadagni per pochi eletti e da una diffusa mancanza di ideali e di riferimenti. Non è un caso che i tre protagonisti, uniti da una grande amicizia (o forse dalla loro solitudine), ma così diversi tra loro, considerino “normale” il loro stile di vita, pur essendo del tutto alienati e rinchiusi nella loro classe sociale di appartenenza: uno spaccia come se fosse un qualsiasi lavoro (un Ed Norton strepitoso), l’altro è cinico e superficiale e vive in una torre d’avorio (B. Pepper), il terzo (il compianto Philip S. Hoffman, bravissimo) non si sente più capace di formare ed educare gli adolescenti che gli vengono affidati, avendo egli stesso perso la speranza fino al punto di dubitare dei suoi stessi princìpi e di approfittare di una minorenne.
Quello che Spike Lee ritengo volesse raccontarci con questo film, abbinando le immagini di Ground Zero, è la paura di una grande nazione, artefice della cosiddetta “pax americana” di fronte alle proprie debolezze interne (colpe?) ed all’incertezza di poter accogliere ed affrontare un mondo i cui equilibri stanno mutando rapidamente e nel quale molteplici etnie e popoli si stanno affermando, reclamando un loro spazio. Una paura che con il folle attentato dell’11 settembre e con la ferita che anche materialmente ha lasciato nel cuore del paese, si è trasformata in orrore, forse simile all’orrore di un colpevole già condannato al carcere, consapevole dei propri errori e della propria imperdonabile leggerezza, ma anche di aver avuto, a un certo punto del proprio percorso, la possibilità di trasformare la sua esistenza in un’esistenza diversa, migliore e limpida (ma davvero l’ha avuta? e magari ce l’ha ancora?), appunto: di trasformare la sua esistenza nel sogno americano.
E volendo, se anche non si condividesse quanto precede, nel film c’è molto di più: lo struggente incontro del protagonista col padre che vive in mondo passato, di valori ormai inesistenti, l’atroce consapevolezza di aver distrutto irrimediabilmente la propria vita, la perdita delle proprie certezze e dei propri affetti, la solitudine di chi forse è stato ingannato da tutti e tanto altro ancora.
Una metafora impressionante rappresentata con un’efficacia straordinaria, ogni scena del film è una stretta al cuore.
Per me è un film fantastico, posso solo consigliarti di rivederlo. Un caro saluto ;-)