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LA CITTA' DI DIO regia di Katia Lund, Fernando Meirelles

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olikarin     8½ / 10  14/04/2018 00:08:37Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"City of God" è un gran film , come pochi se ne vedono oggi. Uno dei suoi punti di forza sta nella recitazione sincera e forte. Se si pensa che centodieci attori sono stati presi dalla strada, beh, non c'è molto da dire. Non è poco riuscire a creare un film tanto incisivo con attori non professionisti: forse sarebbe stato impossibile ottenere questo risultato se la gran parte del cast non fosse stata costituita da veri abitanti della favela. Non tutto si può studiare, certe cose vanno vissute per poter dare un'impronta realistica come quella rilasciata dalla pellicola. Basta fare memoria locale e pensare a diversi film candidati agli Oscar quest'anno, con recitazioni così blande e insipide, facilmente dimenticabili: non c'è paragone.
"City of God" va assolutamente visionato in lingua originale. La regia è ottima, con un ritmo incalzante che tiene incollati allo schermo perché, se ci si distrae un attimo, è la fine. Montaggio complesso e impegnativo. Certo che un film che inizia col punto di vista di una gallina non si vede tutti i giorni, strappa un sorriso nonostante la storia sia non drammatica, di più. Le inquadrature sono sempre scure, la luce è quella dei fari delle macchine, dei lampioni e delle lampade. La struttura è episodica, capace di dare un effetto differente da una narrazione continua.

Non si può negare che la vera protagonista della pellicola sia la violenza dalla quale non può che scaturire, inevitabilmente, altra violenza: accompagnata dalla droga, dalle bande organizzate, dalla criminalità. C'è chi giudicherebbe il film proprio per questa sua caratteristica, eppure è inevitabile e, a mio avviso, indispensabile. Partiamo dal presupposto che il film è tratto da una storia vera, adattato da un romanzo. Secondo me ciò che più restituisce la realtà è l'immagine. Certo, anche leggendo un libro si provano emozioni, si sfrutta l'immaginazione. Ma quando le immagini crude ti vengono sbattute in faccia, l'effetto è sconcertante. Qui sta il potere del cinema: giocare con le inquadrature e mescolarle abilmente per imprimere scene e momenti nella mente dello spettatore. L'aspro realismo serve a denunciare una situazione esistente e a far conoscere a chi non ne fosse al corrente la situazione delle favelas: non bisogna perdere mai di vista ciò che succede nelle realtà lontane da quella in cui viviamo.
Ciò che resta impresso è che la violenza non risparmia i bambini. La scena più forte mostra, da un lato, un bambino che piange mentre viene sparato a un piede, dall'altro il ragazzino carnefice. Anche il destino cui va incontro uno dei protagonisti è forte, interessante perché raccontato attraverso una soggettiva di Buscapé. Il finale è così triste, che futuro avranno quei bambini? La risposta è scontata e pessimistica.

Ma è bellissimo scoprire che, anche nel contesto peggiore, si può trovare un riscatto, una via d'uscita. Non dobbiamo dimenticare che non esiste un solo punto di vista o una sola prospettiva. L'amore per la fotografia è la speranza di Buscapé, ciò cui può appigliarsi. Una passione che salva la vita.
Innegabile la complessità del film, soprattutto per via dei vari sbalzi temporali e dei numerosi personaggi, un giorno magari lo rivedrò per avere maggiore chiarezza. Ma, in conclusione, è un film decisamente soddisfacente, significativo, che fa riflettere. O, almeno, una minima riflessione dovrebbe suscitarla, soprattutto di questi tempi..