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FALSE VERITA' regia di Atom Egoyan

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     7½ / 10  16/07/2006 22:14:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Nella dimensione umana intervengono meccanismi atti a svelare o rimuovere particolari circostanze del passato. L'esilio psicanalitico di Egoyan rischia di cedere il passo al manierismo del noir piu' classico, banalizzando proprio cio' che in un primo tempo era splendidamente emerso. L'exploit da reality-show viene sommerso da un futile agiografismo romanzesco.
Film eticamente barocco senza esserlo realmente, particolarmente anviso a una forma plateale di visione, resta comunque tra le opere piu' interessanti della stagione.
Egoyan esprime anche in questo caso il bisogno dell'umanità di interrogarsi sulle ragioni, ma soprattutto rivelare e rinverdire appunto vere e presunte verità. In questo caso, si muove in un cinema che è già dentro un cinema (il romanzo di una vita, un'improbabile best-seller che non vedrà mai una pubblicazione) e non è affatto antitetico ma complementare alla sconcertante rievocazione del massacro armeno effettuata nel bellissimo "ararat".
Egoyan è autore che insegue il dovere della verità attraverso le immagini, ma ama fin troppo celarsi nell'esperimento letterario, simbolico, persino metaforico.
Eppure "se un tempo accadevano cose terribili, rimanevano avvolte nel mistero, ad alcuni era consentito restare nell'ombra" riviviamo appunto gli anni cinquanta degli scandali, di L.A. Confidential, della vicenda Payola, l'acclamata finzione di un'america che grazie alla "spalla" dell'uno poteva permettersi di amare anche l'altro (l'insopportabile lenny cfr. non Bruce ma quasi). Potevano permettersi di amare un'ubriacone dalle amicizie "sospette" come del resto negli anni di Dean Martin vs. Jerry Lewis , e qualche anno dopo capire gli Stones perchè c'erano i Beatles. Acclamando l'ombra che reclama la propria identità disonesta (finzione= realtà) il pubblico ringraziava l'onesto che camuffava la propria predisposizione al vizio.
L'America che sapeva sdoganare il ribelle immortalando le sue lacrime davanti alla purezza di Alice (metafora della bambina ideale, o gergo inquietante usato per le sostanze illecite, come appunto nel testo citato del famoso hit dei Jefferson Airplane cfr. White Rabbit).
Lewis Carroll e cocaina, morte e resurrezione dell'evento.
Certo non mancano momenti inutilmente abusati, e del resto il codice Lynchiano mal si addice a un'autore solitamente meno "trasversale" come Egoyan: eppure almeno nel primo tempo abbiamo davanti un'opera di valore assoluto, di enfatica bellezza, per quanto troppo indulgente a un glamour che - come i piu' dovrebbero ricordare . si addice più a un testo letterario di genere che a un film come questo. Sembra un po' "confessioni di una mente pericolosa", incompreso e geniale esordio registico di Clooney che già tentava l'azzardo di spodestare l'industria dello spettacolo dalla persuasione occulta della finzione medianica.
Master of puppets mr. Kevin Bacon (ormai assurto dopo "the woodsman" a icona ideale di tutti i piu' grandi degenerati figli di ******* del grande schermo) stritolato dalle maglie del potere (e dei vantaggi che ne trae) oppure ventriloquo di se stesso.
S'agita nel palco come Jerry Lewis o il nostro Toto', ma comunica proprio per questo una profonda amarezza.
Egoyan dunque cattura il noir, esigendo una stilosità fin troppo accentuata.
La fine del gioco determina dunque la fine della "coppia" e dei successi che avevano tanto gioiosamente diviso insieme. La morte di un corpo giustifica la rimozione del desiderio, del gioco sessuale, privando il contesto della propria natura cameratesca.
Maureen viene cremata e le sue "polveri" tramandate ai posteri di un albero, custode di una verità che nessuno conosce.
Rischioso il salto temporale della vicenda: 1972, echi post-beat, una chiccosa afroamericana esibisce un taglio di capelli alla Lola Falana, finisce la rivoluzione globale, nasce la blaxpoitation, e un motivetto alla radio ce lo ricorda. Egoyan perde (volutamente?) il miraggio della piu' grande storia pop mai raccontata, attraverso un colpo di scena finale che chiama in causa gli stessi comprimari.
Eppure intriga: pensiamo a quanta sensualità ammicchi al desiderio di una femminilità finalmente e pericolosamente vincente : un corpo che stavolta sopravvive, che espia le sue colpe giocando con la morale dell'attrazione fatale femminile cfr. chiara deriva hardcore e quasi quasi redime le compiacenti fanciulle del passato.
Ripeto: non un film facile, nè completamente riuscito. Se avessi trovato meno tentazioni a favorire il classicismo di genere, il voto sarebbe stato piu' alto. Eppure a modo suo è un film importante: il racconto generazionale di una sregolatezza che è alla base di un concetto di potere, e la fine miseranda e avvilente dei privilegi del passato