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IL REGISTA DI MATRIMONI regia di Marco Bellocchio

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     7½ / 10  24/07/2006 22:57:09Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il cinema ci porta sempre piu' spesso a un confronto diretto con la nostra spiritualità terrena. Ripensandoci, lo fa anche l'"eretico" Bellocchio.
Piu' scorre il tempo e piu' l'uomo è predisposto a rifiutare o venerare D.io.
Nel primo caso, commette l'errore di non riuscire a sublimarlo, in quanto la venerazione è intrinseca nel formalismo tradizionale della fede.
Nel secondo caso, egli si pone il dubbio sul perchè come miscredente sia tanto premuroso di evocare cio' che a suo modo di pensare "non esiste".
La verità scientifica è che nella sublimazione impossibile (la via terrena vs. il senso della vita e della trascendenza) c'è meno oligarchia e - forse- il piu' compiuto disegno Divino di sempre.
L'impressione è che Bellocchio compia questa ricerca senza completarla, e senza il minimo interesse di farlo.
E' un'ennesimo e straziante apologo di un'autore che non ha smesso di evocare attraverso il simbolo la fragilità umana, nell'era (speriamo tutti) del relativismo. In questo senso è giusto pensare a una nuova ecumenizzazione dopo i fasti dell'irritante/geniale "L'ora di religione".
Il Sacrario dei Ferrara dei De Oliveira, pure di Ozpetek, o il fondamentalismo di Gibson sono tutte derive di un cinema che è antitetico alle provocazioni "indotte" di Ciprì e Maresco.
L'analogia con la figura umana si presta a raccontare ancora una volta la carnalità femminile, con una figura di principessa triste (no non è Soraya) emblema dell'alta società siciliana, quasi anacronistica nel proprio immobilismo temporale.
E' una Sicilia fotografata splendidamente con echi a referenti letterari russi (Cechov) e l'inevitabile legame con "questo matrimonio s'à da fare" (ribaltato il concetto quasi una coercizione d'interesse) dei fasti Manzoniani.
C'è la rappresentazione quasi grottesca di un linguaggio popolare come se i fantasmi di Ferreri e Fellini spiassero dal buco della serratura, raccontando a modo loro la propria "visione" del set.
Il personaggio di Franco sembra evocare una "rottura": adultero suo malgrado, ha la necessità di "sporcare" la funzione del matrimonio con finali diversi (la nudità della sposa, il suo probabile suicidio in mare, la fuga con l'amante) come il famigerato modello del "Vittoriano" distrutto via Internet in "l'ora di religione".
In questo senso è arbitrario in Bellocchio il desiderio di distruggere forse consciamente il Rito, con il fine di preservarne la realtà (stiamo sempre parlando di un matrimonio, in particolare, che non è frutto d'amore).
Non appartiene forse tutto il cinema di Bellocchio al rito?
la famiglia borghese de "i pugni in tasca", i brigatisti "traditi" nel sogno-incubo di "Buongiorno, notte"?
Come del resto il "fantasma illustre2 di Cavina e una frase scomoda come "l'importante è che si arrivi al sì" il suo cinema sembra costruito, abilmente ma non senza compiacimenti, sul concetto di "rimozione individuale".