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IL RAGAZZO SELVAGGIO regia di Francois Truffaut

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kafka62     7 / 10  18/04/2018 10:18:35Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Truffaut amava dire che ciò che più lo attraeva degli adolescenti era che tutto ciò che fanno lo fanno per la prima volta. Ne "Il ragazzo selvaggio" questo sentimento viene ad essere addirittura raddoppiato, dal momento che il protagonista, un ragazzo vissuto per dieci anni completamente al di fuori della civiltà, come un animale allo stato brado, è in pratica una pagina bianca tutta da scrivere, una materia vergine ancora da plasmare. Non sorprende pertanto che Truffaut, molto vicino per sensibilità (se non per spirito illuminista) al personaggio del dottore che si propone di dare un'educazione al ragazzo, si sia riservato il ruolo maggiore del film, passando per la prima volta al di qua della macchina da presa (lo farà una seconda volta per un altro film molto vissuto e sofferto da un punto di vista personale, "La camera verde").
"Il ragazzo selvaggio" è una sorta di diario filmato dei tentativi (ma anche dei fallimenti) del dottor Itard di far superare al piccolo Victor quel muro che lo divide dai suoi simili, di insegnargli a comunicare e diventare in tal modo una persona normale. La dualistica opposizione natura/cultura viene qui risolta a favore della seconda, anche se il regista non si nasconde che l'integrazione sociale passa attraverso molteplici costrizioni, rinunce e compromessi, che allontanano inesorabilmente l'individuo dalla sua condizione di primordiale libertà. Ciò che interessa comunque a Truffaut non è tanto il raggiungimento dell'obiettivo prefissato da Itard, vale a dire la riconquista del "ragazzo selvaggio" alla civiltà (il film ha anzi un finale aperto a tutte le possibilità, anche quelle meno rassicuranti), quanto il problematico e sofferto percorso intrapreso dalla coppia, e le piccole, quotidiane prove superate (o fallite) nel corso di esso. "Il ragazzo selvaggio" rinuncia per fortuna agli elementi melodrammatici potenzialmente insiti nel soggetto (cosa che evita al film di diventare una sorta di versione aggiornata di "Anna dei miracoli"), ma si sviluppa come un film pedagogico (nel senso positivo e serio del termine), rigoroso nella scansione delle sequenze (tutte incentrate sui lenti progressi dell'esperimento educativo), quasi scientifico nell'accumulazione impassibile ed oggettiva di osservazioni sul comportamento del ragazzo.
Rispetto agli altri film di Truffaut, "Il ragazzo selvaggio" è uno dei più eterogenei ed anomali. In realtà, non mancano in esso alcune delle ossessioni tipiche del regista: l'emarginazione, l'iniziazione dell'adolescente alla vita e, in particolare, quella (che si ritrova anche in "Fahrenheit 451", "L'uomo che amava le donne", "L'ultimo metrò") dell'importanza della parola. L'apprendimento della parola, il passaggio da una comprensione basata sulla meccanica associazione di forme e colori ad un'altra, più evoluta, fondata sulla rappresentazione verbale delle cose, costituisce il nucleo centrale del film. In esso si manifesta l'amore viscerale di Truffaut per il linguaggio, senza il quale non si possono esprimere i propri bisogni, i propri sentimenti, le proprie emozioni, e quindi non è possibile diventare adulti.
"Il ragazzo selvaggio" è una pellicola di grande valore civile, anche se magari, cinematograficamente, può sembrare un'opera minore, in quanto la sua struttura di film-saggio dà l'impressione di privilegiare il testo scritto (Truffaut è ripreso spesso dalla cinepresa mentre verga nello studio i suoi rapporti giornalieri) rispetto alle immagini. Se questo è in parte vero (ma anche squisitamente truffautiano: si pensi, ad esempio, ad "Adele H" o a "Le due inglesi"), non si possono sottacere l'intima coerenza ed il grande rigore formale delle immagini. All'ambientazione ottocentesca della storia, poi, si conformano alla perfezione gli elementi stilistici del film (la musica per flauto di Vivaldi, i campi lunghi ed i totali, la fotografia in bianco e nero, la recitazione neutra), i quali sono tutti, volutamente, all'insegna di una messa in scena un po' datata e retrò.