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L'AMICO DI FAMIGLIA regia di Paolo Sorrentino

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kafka62     7½ / 10  18/04/2018 14:21:12Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Meno rigoroso e geometrico de "Le conseguenze dell'amore", ma per alcuni aspetti (le musiche – molto azzeccata "My lady story" di Antony and the Johnsons – e le invenzioni di regia – ad esempio, le straordinarie immagini al rallentatore delle pallavoliste, prefigurazione di un anelito verso la bellezza pur all'interno di un universo sordido) ancor più affascinante, "L'amico di famiglia" prosegue con coerenza di intenti l'originale poetica di Sorrentino. Anzi, i due film citati potrebbero essere considerati due varianti della stessa storia: quella di un personaggio solo, ai margini della legge e della società, che improvvisamente, e inopinatamente, intravede nell'amore di una bella e giovane ragazza la speranza di rompere il ghiaccio della propria infelicità, ma che così facendo, andando cioè scandalosamente contro in nome dei sentimenti alle rigide e intransigenti abitudini di tutta una vita, perde tutto ciò che ha. La più grande differenza tra i due film è che, mentre il protagonista della prima pellicola conserva comunque una sua rispettabilità ed onorabilità, l'usuraio Geremia de "L'amico di famiglia" è invece un personaggio laido, avido e untuoso, repellente tanto nell'animo quanto nel fisico (il suo muoversi quasi correndo a piccoli passettini rimane impresso nella mente quasi come il modo di zoppicare di Dustin Hoffman in "Un uomo da marciapiede"). L'universo in cui vive Geremia (dalla casa in cui abita con la madre invalida, e di cui quasi si avverte il lezzo di sporcizia e di stantio, alle figure disperate e in cerca di soldi con cui entra in contatto) è di una bruttezza opprimente, ed è per questo privo di un barlume di speranza in un futuro migliore (anche solo l'utopistico Tennesse dell'amico Bentivoglio). "Abbiamo scelto la parte del male – dice Geremia – perché tutti gli altri posti erano già stati occupati". Solo l'amore, come l'aria fresca fatta entrare dalle finestre spalancate in un appartamento rimasto chiuso per anni, è in grado di spezzare la paralizzante atrofia dell'usuraio, ma solo per rafforzare in negativo la nichilistica morale del regista: che cioè non c'è alcuna possibilità di uscire dalla gabbia di sofferenza in cui ci ha rinchiuso la vita, che l'unica maniera di sopravvivere è quella di rinunciare per sempre alla felicità.