gerardo 8 / 10 16/10/2006 22:40:22 » Rispondi Nell’anno del New World di Malick l’America torna ad essere scoperta anche dal cinema italiano, di Crialese, anche questa volta come un Nuovo mondo: terra forse non più “vergine”, ma di grandi speranze e prospettive. A differenza del film di Malick, Crialese scopre un’America non più pura e selvaggia, da conquistare e “civilizzare” secondo i canoni europei. Quella che Salvatore e la sua famiglia trovano al loro arrivo è già una terra civilmente ostile, che non permette – almeno inizialmente – l’ebbrezza della scoperta, che respinge e offende, celandosi dietro la nebbia e oltre le mura e i vetri della barriera disumana di Ellis Island. Il pregio meggiore del film è la rappresentazione dei soggetti, dei loro movimenti e atteggiamenti, degli ambienti in cui vivono. La Sicilia è depurata da ogni fronzolo cartolinesco e il paesaggio brullo e selvatico è degno ospite di altrettanto selvagge presenze umane in continua lotta con il proprio ambiente, la propria stessa terra. Gli uomini, scalzi e laceri, si abbarbicano tra le rupi calcaree dell’isola in cerca di un segno divino sul loro futuro; le donne curano malanni e malocchi. Superstizione, magia, religione, mito. L’antiTitanic(o) viaggio è segnato da un muto, dignitoso e lacerante distacco (si parte per non ritornare mai più, o quasi…), dallo “scambio” di culture povere contadine del sud, di odori, corpi, musiche. In viaggio si muore, ma non c’è modo di piangere. Così vanno le cose, così devono andare. Lamerica. Per alcuni finisce a Ellis Island. L’assurdità dei test d’intelligenza viene messa in discussione dalle soluzioni ingenue, rozze, ma autenticamente geniali di Salvatore, che nel valutare i problemi fa riferimento, giustamente, al proprio genuino immaginario di contadino, limitato, ma vitale ed essenziale. La mossa di Salvatore, che costruisce case e pagliai con le figure geometriche da incastrare nel quadrato, è semplicemente fantastica. In quell’atto si produce un piccolo, devastante, inconciliabile scontro di civiltà: quella dell’essenzialità, della pragmaticità di chi lotta per la sopravvivenza in un mondo ormai lontano e quella del superfluo, principio del capitalismo, che iscrive i nuovi arrivati già in una logica di competizione. Per il funzionario americano la soluzione di Salvatore è ovviamente sbagliata, se non ridicola e suggestiva, segno della rozzezza e della povertà intellettuale degli emigrati. Ad elusione della grande potenza visiva che, invece, vi è dietro quella “costruzione”. A esaltazione della presunta superiorità della “nuova” civiltà americana d’ascendenza anglosassone. Le parole e gli atteggiamenti non condiscendenti dell’anziana madre ad indirizzo dei funzionari governativi della dogana sono eloquenti: “chi sei tu, D.io, per poter giudicare chi va bene e chi no?”. Parole che idealmente potrebbero essere rivolte ai nostri funzionarietti di oggi, Bossi e Fini… Crialese ci offre un cinema di “respiro” (anche in senso fisiologico). Ma anche un cinema di poesia, nel senso pasoliniano. Del poeta bolognese, però, manca la forza espressiva dei volti ruvidi e spigolosi pre-mutazione antropologica, nonostante la straordinaria bellezza non conformista degli attori di Nuovomondo sia fuori discussione. Senza dimenticare la lezione neorealistica di Visconti. Crialese sottrae tutto il superfluo alla visione e ci restituisce, come ossi di seppia, quadri, sezioni di realtà pregni di efficacia narrativa ed estetica, e per questo si affida alla cura di quel genietto di Agnés Godard (sua la fotografia di quel piccolo grande gioiello che è “La vita sognata degli angeli”), che desatura la Sicilia e ritaglia i volti, consegnandoli alla storia. Un elemento curioso del film è il ruolo attribuito alla “straniera” Charlotte Gainsbourg, Lucy o Luce per gli italiani. Potrebbe ella rappresentare il primo elemento di diversità e di comparazione tra il proprio mondo arcaico e l’altro da sé (di un sé allargato), il nuovo mondo, ovvero la personificazione della speranza e della progettualità con e in un ambiente sconosciuto ma affascinante. Il gioco di sguardi tra lei e Salvatore, rallentato (con la tarantella in sottofondo), sul ponte della nave, rimanda ai ben più eleganti ambienti e seduzioni di “In the mood for love”, ma questa è davvero un’altra storia.
In linea di massima, però, pur apprezzando molto Nuovomondo, mi sento di preferire il precedente Respiro…
gerardo 16/10/2006 22:43:36 » Rispondi Ecchec*****! Qua tutti che preferiscono Respiro. Se avessi letto i commenti precedenti non l'avrei scritto pure io. Mpf!
priss 17/10/2006 10:37:16 » Rispondi ahahaaahahahha! povero gerry che per tema dell'influenza non legge i commenti altrui per poi ritrovarsi massificato!
comunque complimenti per l'accurato e suggestivo commento. Anche io ho trovato emblematica e dolcissima proprio la sequenza in cui Salvatore usa i suoi "lego" costruendo una capanna. lì si coglie davvero tutta l'essenza del divario incolmabile che separa i due mondi, molto più profondo di un oceano, asslutamente invalicabile. Così come il suo sorriso misto di orgoglio e ricerca di approvazione nel chieder loro "è giusto, no?", proprio a voler sottolineare la volontà di integrazione pur mantenendo la propria essenza.
Lot 17/10/2006 08:31:44 » Rispondi Ottimo commento, grande l'analisi della soluzione di Salvatore, in effetti il momento della presa di coscienza del distacco definitivo tra due mondi. Apparentemente azzardato ma azzeccato anche il parallelo con in the mood.