Dom Cobb 9½ / 10 25/07/2018 23:50:18 » Rispondi Lo scrittore americano Holly Martins giunge nella Vienna del dopoguerra in seguito a un invito da parte dell'amico di lunga data Harry Lime di entrare in affari con lui. Ma al suo arrivo, scopre che Lime è morto in un incidente. Martins inizia però a sospettare che vi sia del marcio nella faccenda, e aiutato dall'amante di Lime e messo sotto pressione dalla polizia dei quattro distretti viennesi, si mette alla ricerca della verità... Uno dei titoli di punta del genere noir, uscito nel suo periodo di massima fioritura, per caso trattasi anche del mio primo contatto con questo mondo sporco, ambiguo e tinto di grigio; perciò, nel mio voto vi è anche un certo minimo valore nostalgico. Ma anche a dispetto dei ricordi e dell'affetto, non mi pare una forzatura dichiarare che l'adattamento dell'omonimo libro di Graham Greene (qui anche sceneggiatore) sia uno dei migliori esempi del genere, senza se e senza ma, per il semplice motivo che non mi vengono in mente dei gravi difetti da affibbiargli. La carta vincente del film, evidente sin dal primo fotogramma, è la sua capacità di creare una peculiare atmosfera, gotica ma non opprimente, gradevolmente sinistra e misteriosa senza mai scadere nell'inquietante, cui la località viennese e le sue case in rovina e cumuli di macerie attribuiscono un ulteriore livello di realtà, il che è un valore aggiunto. Indovinata è anche la scelta di ricorrere ampiamente alla lingua tedesca, ideale mezzo per sottolineare un crescente senso di alienazione sia nel protagonista che nello spettatore e dare la sensazione di trovarsi in un territorio ostile.
La scena più memorabile in tal senso è il raduno di curiosi intorno al cadavere del portiere, con il bambino che, dopo aver riconosciuto Martins, lo addita intonando la parola "Moerder!" ("Assassino!") in un'insistente cantilena che attira l'attenzione degli altri astanti.
Tutti questi elementi vengono valorizzati ulteriormente da uno strepitoso bianco e nero (grandiosa la fotografia di Robert Krasker) e dalla regia di Carol Reed, fuoriclasse nel suo campo e forse uno dei più grandi registi sottovalutati di sempre: il suo è uno stile asciutto, senza fronzoli eppure venato di ironia nera, privo della fastidiosa vena romantica tipica dei registi hollywoodiani, e in questo caso è l'autore del miglior impiego del "dutch angle" (inquadrature sbilenche) che io abbia visto in un film sino ad oggi. La perizia tecnica dietro la macchina da presa, cui si aggiunge una prestazione collettiva del cast solida e priva di difetti,
Qui fa una delle sue prime apparizioni Bernard Lee, futuro M nei primi film di 007, nei panni dell'ufficiale di polizia appassionato dei libri di Martins.
aiutano a coprire in modo egregio le occasionali mancanze della trama che, ad essere onesti fino in fondo, è interessante solo fino a un certo punto e anche alquanto prevedibile. Non ci vuole molto a indovinare la vera natura degli eventi che si susseguono nel corso della vicenda, e la maggior parte del tempo si rimane in quieta attesa di veder confermati i propri sospetti, il che accade puntualmente.
Non ci vuole affatto un genio per rendersi conto, praticamente da subito, che Lime non è morto davvero e che lui e i suoi ovvi complici sono gente non propriamente di animo nobile. Insomma, ci sarà un motivo per cui Orson Welles è accreditato primo fra tutti nei titoli, sui poster e sulle cover dei dvd senza essere il protagonista.
Inoltre, il film soffre del tallone d'Achille di molti film d'intrattenimento dell'epoca, ossia l'aspetto sentimentale: la storia d'amore fra i due protagonisti, sebbene venga nobilitata dalle interpretazioni e dall'approccio cinico e ironico impostato da Carol Reed e Graham Greene, non funziona mai veramente fino in fondo, e da luogo ad alcune piccole incongruenze nella parte finale, che pure non intaccano in negativo la visione.
Insomma, la donna afferma di amare ancora Lime e di stare dalla sua parte a dispetto dei crimini che ha commesso, e va bene; però mi sembra strano che, dopo aver perfino tentato di far saltare la trappola ai danni di Lime, la polizia non decida almeno di arrestarla per complicità. C'è qualcosa che non mi torna...
L'unico vero neo, una sorta di arma a doppio taglio, è la colonna sonora di Anton Karas, caratterizzata dall'ormai ben noto tema musicale alla cetra: da una parte, è una scelta brillante nel suo essere insolita, nel modo in cui si insinua nelle varie scene con le sue tonalità falsamente allegre e leggere, che in realtà nascondono quella punta di ansia nelle lievi distorsioni. Dall'altra però, in un paio di momenti il suo utilizzo sembra alquanto fuori tono, risultando forse un po' troppo leggere, finendo per smorzare la tensione piuttosto che rafforzarla. Questi piccoli problemini mi impediscono di dare un voto pieno, ma per il resto non c'è assolutamente niente di cui lamentarsi; il film mantiene alta l'attenzione senza momenti di stanca fino alla fine, sbilanciandosi su un paio di scene d'azione una più riuscita dell'altra,
Fra queste vi è l'iconico inseguimento finale nelle fogne, che sembra uscita dritta dritta da un film di Fritz Lang per l'uso che fa di immagini espressioniste.
e nobilitata dalla limitata presenza di Orson Welles, che nonostante tutto riesce a rubare la scena come se niente fosse. Al netto dei suoi piccoli difetti, "Il terzo uomo" rimane un caposaldo del suo genere, un prodotto d'intrattenimento con i fiocchi divinamente realizzato, e senz'altro in cima alla mia classifica personale.
"In Italia per trent'anni sotto i Borgia ci furono guerre, terrore, omicidi e carneficine, ma vennero fuori Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento; in Svizzera non ci fu che amore fraterno... ma in 500 anni di quieto vivere e di pace, che cosa ne è venuto fuori? L'orologio a cucù."