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BABEL regia di Alejandro Gonzalez Inarritu

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ilSimo81     8 / 10  29/10/2011 14:33:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Per questo la si chiamò Babele, perchè là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra" (Genesi 9, 11).

"Babel" è un intreccio di storie ambientate su sfondi variopinti, "disperse su tutta la terra": un viaggio che tocca diversi angoli del pianeta, dalla California al Messico, dal Marocco al Giappone. In ognuno di questi luoghi ci sono vite tra loro connesse tramite un sottile filo superficiale, un legame quasi invisibile.
Vite comunque indipendenti, che vengono a stravolgersi, a sovrapporsi, a collidere nello spazio di un solo secondo: il tempo di uno sparo di fucile. Un colpo secco, una crudele ingenuità infantile da cui scaturisce un cinico dolore,
una spietata storia in cui il caso genera un implacabile "butterfly effect". E quelle vite che apparivano indipendenti si ritrovano intimamente legate, una Babele al contrario, nel momento in cui tutti sembrano ritrovarsi a parlare l'unico comune linguaggio della disperazione. Perchè la disperazione entra in tutte le vite, una tenebra che mette alla prova il tenace attaccamento alla vita e la capacità di amare dell'uomo.

Babele è il mondo odierno: uomini sparsi in tutto il pianeta che parlano lingue diverse. "Babel" ne è metafora, sia geografica (i poveri villaggi africani, le zone desertiche centroamericane, la ricca metropoli orientale) sia fonetica (l'arabo, l'inglese, lo spagnolo, il giapponese e la lingua dei segni, perchè non si deve dimenticare che anch'essa è un linguaggio).
E' in quest'ambientazione globale che si chiude la trilogia di Inarritu, iniziata con "Amores Perros" e proseguita con "21 grammi". Sebbene alcuni la definiscano "trilogia della morte" o "trilogia del dolore", il filo conduttore sembra essere principalmente il caso: è sempre un episodio casuale a dare origine agli intrecci che si sviluppano nei diversi episodi. E secondo Inarritu il caso, in ogni angolo del mondo, può spingere l'uomo sull'orlo della disperazione, ma è anche e soprattutto strumento salvifico: portando l'uomo al limite, lo mette alla prova sulla forza e consistenza del proprio amore, o quantomeno gli insegna l'importanza della solidarietà umana (lo stesso regista parla di "compassione").

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"Babel" viene raccontato egregiamente: nelle immagini emozionanti di panorami mozzafiato; nella vicinanza ai protagonisti nei momenti più palpitanti; nella colonna sonora, semplice e malinconica.
Va detto che alcuni momenti appaiono un po' fragili o forzati: la storia di Chieko è quasi un capitolo a sé, essenzialmente avulsa dalla trama che unisce le altre situazioni, mentre la storia della coppia americana in crisi è piuttosto banale e non regala nulla di nuovo.
In compenso, le storie narrate traboccano di una toccante drammaticità: la povertà dignitosa di una famiglia marocchina, l'amore quasi materno di una badante per i bambini che accudisce, e ancora di più la storia di Chieko, ragazza sordomuta di cui viene narrato il dramma umano di una convivenza difficile, se non impossibile, con la gente "comune". Intelligente, e per questo tremendamente realistica, la scelta di rappresentare alcune scene vissute da lei stessa in soggettiva, nel completo silenzio, con l'effetto di sottolinearne l'isolamento (poetica, di una triste tenerezza la scena in cui Chieko danza nel mezzo di una discoteca chiassosa al suono di una musica che lei non può sentire).

Non è solo un film che racconta storie in maniera piacevole, ma anche una metafora della condizione umana; è un racconto coinvolgente ed uno spunto di riflessione. Un film che sa, con intelligenza, parlare all'uomo dell'uomo è senz'altro da apprezzare.