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FLAGS OF OUR FATHERS regia di Clint Eastwood

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     7½ / 10  21/11/2006 23:18:25Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Spero di non essere frainteso se dico che amo i film di guerra unicamente perchè riconosco in essi il paradosso di testimoniare comunque e solo attraverso l'assurdità di un qualsiasi conflitto l'amore che regna negli uomini.
Certo, il sentimento affettivo è irrazionale quanto la guerra, che costringe gli uomini ad amarsi pur facendo ad altri esseri umani cose efferate e truculente

La sensazione è che "Flags ..." sia esteticamente un grande film, perchè non insegue alcuna moda corrente e contemporanea. Se la storia rievoca la famosa foto degli anni Quaranta, la scelta di Eastwood è di ridare linfa al cinema bellico classico, immettendo antimilitarismo anzichè propaganda, e rinvenderdo da una parte i fasti di dwan, wellman o milestone, e dall'altra l'onere (su commissione) patriottico della serie "Perchè combattiamo" di cui si ricordano suggestivi documentari a nome di registi di fama come John Ford o Huston.

Se questi sono i presupposti, è doveroso ricordare il ruolo di quel soldato pluriacclamato come "eroe", già pedina per una propaganda effimera tipo "comprate i buoni di guerra", = soldato sottomesso ai voleri della Nazione e dell'imposizione sociale (come se già non lo fosse essere un soldato).

Eastwood segue pertanto una sua ambizione: imprimere al cortometraggio di propaganda, al mito di John Wayne o di Audie Murphy soprattutto, uno script di alto lirismo: esperimento riuscito? A tratti certamente sì, ma non completamente.
Rischia il manierismo la parte centrale, come del resto tutta la seconda parte sottomessa a un'enfatizzazione francamente curiosa per un antimilitarista. Il tono Epico della vicenda conferisce sicuramente suggestione commozione e sincera empatia nello spettatore, ma suscita qualche perplessità, soprattutto se il film è come avrebbe dovuto essere, una revisione ipercritica e ben poco declamatoria di un'evento storico.

Del resto sembra tutto chiaro all'inizio: c'è un forte senso di verità anche contemporanea nell'affermazione incontestabile secondo cui "una guerra fallita continua per evitare una brutta figura" (ne abbiamo una dimostrazione recente assai eloquente a riguardo).

E l'"eroe" è un pretesto, a cui guardacaso si ribella l'unico cittadino americano non propriamente in linea con certi princìpi, il nativo americano (indiano).
L'uomo che, conscio degli errori umani commessi alla sua gente, non riesce a spiegarsi la ragione per cui l'ennesimo delirio di "vittoria" sporcata di sangue debba interagire nel popolo come "evento glorioso".

Non a caso egli vive quotidianamente l'espressione tangibile del razzismo, (gli vietano da bere in un bar, parlano con disprezzo la sua lingua natìa) , sconsacrato dalla strumentalizzazione del rito (la guerra) che - beffardamente - concede a tutti gli uomini di tutte le razze di essere uguali (uniti semmai nella stessa bandiera).

L'"eroismo" in guerra non esiste, se non riconosciuto da parte degli altri (la scena in cui l'ufficiale parla al soldato indiano e gli dice a proposito dell'amico morto piu' o meno così "tu lo chiami eroe, ma probabilmente lui se fosse in vita negherebbe di esserlo".

Non c'è nulla di "nobile" nel morire in guerra, ma continuiamo a sopravvivere al pensiero che lo sia.
C'è, semmai, lo straziante pensiero di tante vite consumate per niente.

E del resto, quanto è importante per una madre sapere che il figlio era in quella foto (quella che ha ispirato questo film)? Non è forse democraticamente morto per sempre?

Da antologia diverse sequenze, in primis le tante flotte in partenza verso Iwo Jima, la beffa del gelato alla fragola, le crudissime immagini in trincea, la farsa della rievocazione dell'evento in un monumento di cartapesta...

Irritante invece la parte finale, se non altro perchè mi sembra inopportuno ricalcare il modello di "i migliori anni della nostra vita" o "anime ferite" e forzare la mano su quell'incubo umano che riporta in flashback i soliti, dolorosi avvenimenti.

Si potrebbe evocare la retorica (a tratti ce n'è), ma anche in questo caso il cinema di Eastwood disattende le convenzioni: del resto come espressione tangibile di un miraggio (una vittoria mancata, come in Iraq) o di una celata verità, è giusto che ci sia e che milioni di persone si illudano di non tradirla, idealismo o ingenuità sono figli della stessa ragione
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  21/11/2006 23:20:23Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ah dimenticavo: trovo geniale che il "nemico" sia invisibile, che i cannoni sparino fuori dallo schermo, e il regista voglia metaforizzare l'invisibilità del "nemico", oscurato nel volto come nelle imprese (del resto muore e uccide come gli altri no?)
Gruppo STAFF, Moderatore Invia una mail all'autore del commento Jellybelly  27/11/2006 21:10:14Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Concordo in linea di massima con tutto ciò che dici; ho trovato anch'io geniale il fatto che il nemico non si veda mai.