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THE DEPARTED - IL BENE E IL MALE regia di Martin Scorsese

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kafka62     9 / 10  06/04/2018 19:19:55Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La labilità del rapporto tra verità e apparenza ha da sempre fornito affascinanti spunti narrativi per il cinema (solo apparentemente "di genere") poliziesco. Basti solo pensare a "Lo spione" di Melville e – più recentemente – a "Face off" di Woo: film impregnati di splendida ambiguità, in cui il concetto dell'"io" si smarrisce sovente in quella misteriosa terra di nessuno che è il confine tra bene e male, giusto e sbagliato, lealtà e tradimento. Pur consapevole dell'alto livello artistico raggiunto da questi (e anche da altri) suoi predecessori, possiamo serenamente dire che "The departed" non li fa rimpiangere, e anzi li surclassa per una superiore, diremmo quasi shakespeariana, padronanza nel tirare e governare i mille fili di una storia enormemente complessa e mai scontata (chi si aspettava la morte a bruciapelo dell'eroe a pochi minuti dalla conclusione?), per un ritmo eccezionale (quanti momenti stracolmi di tensione che fanno schizzare in alto il climax del film, quanti appuntamenti fatali con il destino, quanti frenetici squilli di cellulare!) e per la tragica grandiosità dei personaggi (il Costello di Jack Nicholson, col volto emblematicamente in ombra nei primi minuti e con la sua laida e luciferina ferocia, esaltata dai famosi ghigni ed ammiccamenti dell'attore, è quanto di meglio abbia mai saputo partorire la fervida fantasia di Scorsese). Anche la sceneggiatura è geniale, toccando vertiginose vette di ambiguità: tra talpe della polizia infiltrate nella banda di Costello e talpe di quest'ultimo infiltrate nella polizia la confusione regna totale, e non lascia mai presagire cosa succederà nei successivi cinque minuti. Di Caprio e Damon, simili anche fisicamente, sembrano due facce della stessa medaglia, e grazie all'avvincente e serrato montaggio alternato, quasi ci aspetteremmo che le loro facce si sovrapponessero come nel bergmaniano "Persona", la cui psicanalitica complessità è qui riassunta nel personaggio della psicologa della polizia, innamorata di entrambi ma incapace di districare con la sua dimestichezza col subconscio la matassa del vero e del falso. In un mondo in cui nessuno sa di chi si può fidare veramente, e che Scorsese sa rappresentare col suo inimitabile stile sovreccitato e a tratti (la scena in cui Di Caprio insegue Damon) espressionistico, la conclusione è agghiacciante e totalmente pessimistica: dopo l'ultimo, sacrosanto (e ciononostante per nulla catartico) omicidio, la finestra del lussuoso attico che si affaccia sullo skyline di Boston è attraversata da un topo, trasparente metafora del marcio che alligna dappertutto e dell'assoluta inevitabilità del male.