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DIETRO LA PORTA CHIUSA regia di Fritz Lang

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Borg     7 / 10  21/06/2008 19:06:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
I film di Lang (forse in assoluto il mio regista preferito, quello di cui più apprezzo la poetica) sono concettualmente di una modernità paurosa.
Zero moralismi, zero facilonerie nel tratteggio psicologico, ma analisi puntuali e spietate della natura dell’uomo, di esseri già segnati da un destino ineluttabile dove l’ossessione e il male sono sempre in prima linea per aprire una breccia (o già ci sono) negli animi.
Come posso non spasimare per queste analisi fulminanti, che ci dicono che l’uomo è costantemente in balia di pulsioni negative, di un male che è soprattutto condanna e maledizione, ma nonostante ciò il male (la capacità di creare orrore, dolore, di macchiarci le mani con il sangue dei nostri simili) viene mostrato in tutta la sua spaventevole forma.
Ognuno di noi è un potenziale assassino, un colpevole, ognuno di noi può arrivare a compiere azioni disdicevoli.
Siamo in balia dei nostri lati oscuri, dei doppi neri che trovano alimento nei nostri traumi.
Lang nel suo cinema sembra dirci, ossessivamente, questo. A volte è una condizione dalla quale non possiamo fuggire. A volte gli errori del passato sono macchie che disegnano la traiettoria di un destino già segnato, non c’è modo di sfuggirgli, soprattutto quando la libertà e la rivalsa sembrano così vicine. Non c’è modo, la fuga dalla trappola che cerca di imprigionarci ci mette sempre più in gabbia (ebbene sì, sono forse il più grande fan di “Sono innocente”).
A volte l’ossessione per la perdita delle persone amate o per i torti subiti ci trasforma in vendicatori ossessivi e acquistiamo pericolosamente la forma, le sembianze, del male che ci ha arrecato danno, non può che essere così visto che il terreno più fertile per le zone d’ombra è quello segnato da terribili sovrapposizioni.
E non si torna indietro, la vendetta si trasforma nello specchio dove osserviamo il nostro nuovo volto, inevitabilmente corrotto e consapevole della nuova solitudine.
Il male, l’ossessione, la colpa, la vendetta, i traumi, nelle mani di Fritz Lang i personaggi diventano pedine così fragili e così facilmente (e disperatamente) corruttibili.
Ma a volte anche Lang, nelle sue storie più torbide, sembra aver bisogno della speranza.
E’ il caso di questo bel noir piuttosto misconosciuto “Dietro la porta chiusa”.
Un giallo che è una storia d’amore fondamentalmente, di due esseri macchiati entrambi dai lati oscuri (Cecilia e Marco, nella versione italiana), che fatalmente si attraggono reciprocamente (bellissima la scena del duello per la ragazza, momento dove la protagonista si accorge dell’irrefrenabile forza magnetica di Marco), ma uno nasconde un terribile segreto, un’ossessione, un trauma che affonda le proprie radici dell’infanzia.
Grazie all’amore (ma attenzione, l’azione non si svolge in un contesto melodrammatico, ma in uno scenario barocco ma inquietante, in una casa invasa da ombre con corridoi che ci portano in camere da letto dove si sono consumati avvenimenti infausti, in una casa che ospita personaggi a dir poco sfuggenti e sinistri, come la segretaria, il figlio e la sorella di Marco) avverrà la catarsi di uno dei protagonisti, per una volta almeno il buio sembra lontano, forse.
Il film è visivamente molto bello (la fotografia è di un certo Stanley Cortez, “L’orgoglio degli Amberson”, “La morte corre sul fiume”, “Il corridoio della paura” dovrebbero dirvi qualcosa), ci sono momenti geniali (il processo immaginario di Marco), le classiche atmosfere nebbiose alla Lang. Un buon noir, senz’altro, ma a cui manca quella forza dirompente delle migliori opere del regista.
Anche il ritmo a volte latita, la vicenda procede fin troppo lentamente nonostante non manchino i colpi di scena (il migliore dei quali, ovviamente, è quello che si presenta a Cecilia dietro la porta chiusa).
Non è un problema, ovvio, avercene più spesso di bei noir così!