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DIETRO LA PORTA CHIUSA regia di Fritz Lang

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amterme63     7 / 10  14/07/2011 23:33:00Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E' il film di Lang che forse assomiglia di più a quelli di Hitchcock. Si può tranquillamente dire che "Secret Beyond the Door" sia un misto di "Rebecca la prima moglie", "Io ti salverò" e "Il sospetto". Qui Lang in pratica abbandona le libertà stilistiche dei film precedenti (che coinvolgevano gente comune, anche prostitute, e ritraevano tutto sommato la vita quotidiana) e si dedica anima e corpo allo stile classico, con personaggi raffinati, di stile e con inquadrature che esaltano il divismo degli attori (soprattutto della protagonista donna).
La storia raccontata è piena di stereotipi e tende al romanticismo gotico (la solita protagonista ingenua che si fida troppo di un uomo fatale, lo sposa in fretta e si viene a trovare in situazioni complesse e a dover fare i conti con un passato scomodo e ingombrante. La parte "psicologica" è trattata in maniera ancora più superficiale e semplicistica rispetto a "Io ti salverò" (la spiegazione degli impulsi omicidi del protagonista fa oggi un po' ridere). Anche i caratteri dei personaggi sono molto più abbozzati e semplificati rispetto a quelli dei film di Hitchcock.
C'è qualcosa che però riscatta alla grande il film: la meravigliosa tecnica cinematografica. Intanto il film ha una progressione di suspense di tutto rispetto, niente da invidiare a Hitchcock. Poi ci sono le soluzioni visive impiegate per caricare emotivamente le scene e quelle sono qualcosa di eccezionale. C'è soprattutto una grandissima cura del contrasto fra luce e ombra. Alcune scene sono veramente suggestive e molto cariche di suspense solo per il semplice uso di una torcia o di un'ombra che copre il volto di una persona.
Lang qui usa la tecnica della testimonianza del protagonista (la solita bella e brava Joan Bennet), la quale più che spiegare, rivela parzialmente e in maniera quasi sibillina e finisce un po' per sviare lo spettatore, visto poi l'immancabile lieto fine accomodatore.
Non mancano messaggi indiretti. Quello più inquietante è l'ammissione che "siamo tutti figli di Caino", che ognuno di noi, anche la persona più rispettabile, possiede una personalità da assassino. Veramente bella la scena semi-onirica del processo, in cui il protagonista (un bravo Redgrave) è sia accusato che accusatore. Altro istituto che non ci fa assolutamente bella figura è quello della famiglia.
Insomma anche qui trapela l'ossessione americana dell'epoca: il timore di non essere in grado di tenere a bada gli istinti distruttivi e omicidi scatenati dal periodo di guerra.