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GERRY regia di Gus Van Sant

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ULTRAVIOLENCE78     9 / 10  18/11/2008 12:35:13Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Gerry: "Ho conquistato Tebe".
Gerry: "Quando".
Gerry:"Due settimane fa".
Gerry:"Come hai fatto?"
Gerry:"Bè in realtà ho fatto anche di più. Il grande Gerry. Ho governato queste terre per 97 anni e… Mi è piaciuto. Feci costruire Santuari e poi un'eruzione del vulcano… distrusse due santuari, uno era di Demetra. Non c'era più marmo per rifare le sculture… per sistemare il santuario. Tutto ciò che avevo erano questi porti, come Caldo e Argo e… avevo tutto, tutto. Commerciavo con dodici città… avevo un grande esercito. Ma il fiume straripo' e inondò quattro dei miei porti. Così niente più marmo per riparare i santuari. E Demetra se la prese molto così rese sterili le mie terre. E allora non si poteva più pascolare. Niente biada per i cavalli, niente… non c'era erba per le pecore e per le capre, allora la mia gente cominciò ad avere fame ed a infuriarsi e io non potevo più fare commerci, per colpa dei fiumi che straripavano. Così Knosso, un altro dei miei servitori si arrabbiò e si rivoltò contro me e il popolo, mi attaccò… perché le pecore non potevano pascolare… perché non c'era la biada. Non avevo… ".
Gerry: "Non avevi niente per nutrire le pecore?".
Gerry: "E nemmeno i cavalli… Quando mi attaccarono, comandai al mio esercito di difendere la città. Ma per fare questo servono dodici cavalli al traino, ma ce ne erano solo undici. Mi mancava un cavallo per salvare la città".
Gerry: "Quindi non hai potuto salvarla?".
Gerry: "E avevo conquistato Tebe , quando successe questo…".

Potrebbe compendiarsi in questo dialogo, nella scena del falò, il senso dell'opera di Gus Van Sant, che nella cornice sconfinata di una Natura imponente e minacciosa (gli scenari sono quelli suggestivi della Death Valley, di Salt Lake City, e delle immense distese argentine) rappresenta il viaggio come metafora dell'esistenza, nel quale non conta la meta ma il tragitto stesso ("tutte le strade portano nello stesso posto"). Esistenza, però, segnata dall'agire inoppugnabile di forze incontrollate e imprevedibili, rispetto alle quali l'uomo si presenta come mero strumento alla mercè di qualcosa di incommensurabilmente più grande e potente (eloquente, a tal fine, le due inquadrature giustapposte, che riprendono circolarmente l'una Gerry/Affleck, l'altra il paesaggio circostante, quasi a sottolineare la soccombenza del soggetto al cospetto della Natura che lo circonda e sovrasta).
E' un percorso in cui la quasi assenza di scene parlate amplifica i sentimenti divergenti (le difficoltà porteranno l'uno ad avvicinarsi all'altro, mentre causeranno in questi un crescente risentimento) che tratto tratto monteranno in ciascuno dei protagonisti, determinandone il progressivo ed ineluttabile allontanamento, secondo una climax che raggiungerà la sua acmè nell'atto estremo dell'omicidio. Ma la distanza che si viene a creare tra i due Gerry sembra, nella descrizione visiva che il film offre, il risultato dipendente non dalla volontà del soggetto, bensì dall'influenza di fattori ingovernabili che attengono alla natura immanente, il cui operare è sottolineato dal mutare -anch'esso ingovernabile- della Natura esterna, colta dalla superlativa fotografia di Harris Savides in tutte le fasi del giorno (dall'aurora alla notte fonda) e nel suo misterioso sviluppo.
Fa da perfetto contrappunto allo stile scarno -ma pregnantissimo- della narrazione il "minimalismo sacro" della musica di Arvo Pärt, la cui sobria linearità accompagna il lento evolversi/regresso del rapporto tra i due "amici", aprendo e chiudendo la pellicola all'interno di due sequenze sublimi: l'incipit, in cui si riprende il principio del viaggio dei due Gerry, seduti silenziosi in macchina l'uno accanto all'altro; e il finale, in cui si vede il Gerry superstite nell'auto in cui si trovano una padre e un figlio colti dallo sguardo vuoto e spaesato del passeggero, il quale sembra quasi immaginare e proiettare sul loro rapporto le conseguenze infauste che possono inopinatamente e incontrollabilmente verificarsi, così come è accaduto nella sua relazione amicale con l'altro Gerry.
La storia potrebbe anche essere interpretata come il viaggio metaforico di un'unica persona (incarnata dal doppio Gerry), che gli affanni e le pene della vita hanno inesorabilmente cambiato determinandone la soppressione della parte migliore.
Ad ogni buon conto, al di là del senso e dei contenuti che gli si possono attribuire, è un film che lascia il segno e che emoziona. Ma coloro che non gradiscono il cinema di Van Sant se ne stiano debitamente alla larga.