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SHORTBUS regia di John Cameron Mitchell

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     7½ / 10  10/12/2007 12:16:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Penso alle cose che ho scritto quando avevo 12 anni e sto ancora cercando le stesse cose" (cit.)

"Shortbus", il più shokkante manifesto anti-litteram della sessualità newyorkese, non è ovviamente un film per tutti, ma avrebbe (dico avrebbe) le potenzialità di un capolavoro. Un film senza compromessi, duro e incisivo, ma anche esilarante (strano che tra tutti i commenti che ho trovato nessuno faccia perno su questo binomio tristezza/allegria).
Mitchell racconta generazioni di "sopravvissuti" (lo spettro dell'Aids) attraverso il post-11 Settembre (che ormai diventa una variante o un'alibi per ogni tipo di esperienza cinematografica) raccontando una generazione à la Houllenbecq dove il sesso diventa frustazione mercenaria, o tutt'al più un bisogno insopportabile di "negarsi" o "liberarsi".
Tra vibratori, falli veri eretti o artificiali, usati come microfono o per autofellatio, clitoridi inquieti e bondage, il film ha una sua dignità: le scene migliori sono proprio quelle che catturano - splendidamente - una generazione "come negli anni 60, solo con meno speranza" (parole del trans Justin Bond, molto popolare a Hollywood, cfr.): abbracci post-atomici, sguardi che catturano il bisogno di ambire al modello perfetto all'irraggiungibile status voyeurista dell'amore (come il giovane che filma gli atti sessuali di una coppia di vicini di casa). O il finale, che potrebbe essere liberatorio, ma mette soprattutto una certa angoscia.
Non è un film voyeur e nemmeno particolarmente erotico, perchè il distacco formale di Mitchell è evidente (almeno lo è ai miei occhi, se lo giudichi con la moralità al cuore allora è un'altro discorso)

Tutto perfetto allora? Purtroppo no. Il film secondo me non riesce a bilanciare coerentemente la linea tra drammaticità e grottesca pantonima, tra la dura sconfitta del "piacere" e una sfrenata, disinibita licenza "liberatoria".
Proprio un bel tema, quello della carne che viene infastellata negli schemi triti e ritriti delle identità sessuali, a cui Mitchell vorrebbe porre rimedio (si veda l'esistenza stessa dello Shortbus, dove figure di ogni natura e devianza creano una comunità, una fauna malgrado tutto collettiva).

Un film, insomma, che vanta diversi picchi (l'abbraccio tra un ragazzo e un vecchio durante un black out) e purtroppo anche alcune fragorose cadute di tono, come l'imbarazzante tentativo di Sophia di liberarsi del suo "oggetto ronzante" penetrato nella v.a.g.i.n.a. , o il momento in cui James ritrova Jamie (bravissimo Raphael Barker) guardando fuori dalla finestra, a casa del suo vicino...

Ma è un film comunque coraggioso ed eversivo, capace di dirci cose sulla sessualità che da noi sarebbero improponibili, nonostante la tendenza a non prendersi mai sul serio (una certa leggerezza "pink", coreografici riti compresi) come dovrebbe

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