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ELEPHANT regia di Gus Van Sant

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Kesson     6 / 10  29/05/2006 17:31:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Tra il 1997 e il 1999, in otto scuole americane si sono consumate otto tragiche sparatorie. La più, tristemente, famosa è senza dubbio quella della Colombine High School. Gli americani sconvolti da quanto accaduto, si sono affrettati nel sparare sentenze, dare giudizi, incolpare. Ma al di là di manifestazioni contro Marylin Manson, contro film e videogiochi violenti, il loro analizzarsi è sempre stato uno scaricare a questo o a quello la responsabilità dell’accaduto. “Bowling For Colombine” (Vincitore di un Oscar nel 2003 come miglior documentario, nonché primo documentario ad apparire a Cannes in 46 anni) di Michael Moore, ha analizzato il problema focalizzandosi sulla paura imposta dai media sul popolo americano, interrogandosi sul perché in America sia cosi’ facile e quasi un diritto possedere un arma da fuoco.
Elephant, di Gus Van Sant, ispirandosi alla strage della Colombine, sceglie decisamente una strada differente. Inanzitutto, non ci troviamo di fronte ad un documentario, anche se tutto il film è girato all’interno di una scuola vera a Portland (Oregon), ed ha come protagonisti attori non professionisti (se si escludono i tre attori adulti). La macchina da presa segue un giorno scolastico, apparentemente, qualunque, spia discretamente i protagonisti di questo film, gli alunni, siano loro vittime o carnefici. La caratterizzazione dei personaggi attinge da classici stereotipi. Abbiamo l’alunno cresciuto troppo in fretta costretto a fare da genitore a suo padre, irresponsabile e ubriacone, il belloccio di turno campione di football fidanzato con la più carina della scuola, le tre inseparabili amiche che condividono tutto, dallo spettegolare, allo shopping fino ad arrivare alla bulimia, alla studentessa bruttina e “s****ta”, bersagliata e derisa dalla compagne e ignorata dai compagni. Anche i due carnefici non escono dagli stessi schemi. Eric e Alex infatti appaiono isolati in loro stessi, relegati negli ultimi banchi in classe e anche loro derisi dai “*****tti” di turno. Coltivano passioni per le armi, giocano con videogiochi violenti, guardano documentari sul Nazismo, e se non fosse che Alex ama suonare Beethoven al pianoforte invece di ascoltare Marylin Manson, avremmo due perfetti carnefici scolastici stilizzati all’americana.
La regia è splendida. Girato interamente in 35 mm, tutto viene raccontato seguendo molteplici punti di vista: gli occhi degli studenti. Con ampio uso della steadycam ci immergiamo così in lunghi corridoi, nelle aule, rivediamo le stesse scene da angolazioni e stati d’animo differenti. Il volgere del film può risultare piuttosto lento, sia per i numerosi, e lunghi, piani sequenza sia per i dialoghi ridotti al minimo. La prevalente scelta di un illuminazione naturale, e la quasi totale assenza di colonna sonora (se si escludono alcune sonate al piano di Beethoven) per affidarsi invece ai suoni di scena, rendono il film stilisticamente più vicino ad un documentario che ad vero e proprio film. Ed è forse qui che troviamo il limite di Elephant. Tutto viene mostrato freddamente, quasi senza un motivo, Tutto accade ma nulla viene veramente spiegato, non ci sono vere analisi nelle coscienze dei protagonisti, non trasparono vere motivazioni che giustifichino in qualche modo la strage finale. Accade e basta. Gus Van Sant, vuole quindi solo sollevare il problema, un problema reale, “un problema ignorabile come un elefante nel salotto” (è questo il detto a cui si ispira il titolo del film), forse sottovalutato, attraverso questo film che, ricordo, ha vinto a Cannes la Palma D’oro e il Premio per la Migliore Regia.
“Non appena spieghi qualcosa ci sono altre cinque possibili risposte che vengono negate da quella spiegazione, senza considerare che alcune cose semplicemente non ce l’hanno una spiegazione” (Gus Van Sant).