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ELEPHANT regia di Gus Van Sant

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Marco Iafrate     8 / 10  31/01/2012 18:49:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Questo è un film che irrita o affascina.
Irrita se ci si aspetta che in un film la normalità dell'esistenza debba essere approfondita, sempre. Affascina se si accetta il contrario.
Nella vita di tutti i giorni i gesti e le azioni consuete fanno parte della nostra quotidianità. C'è chi si alza per andare a scuola, chi in ufficio, chi in fabbrica. Si svolgono le proprie attività quindi si torna a casa, il tempo che ci è dato a disposizione per quel giorno termina con la buonanotte. Noi non ce ne rendiamo conto ma durante queste ore tutto quello che accade fuori dalla portata del nostro orizzonte lo ignoriamo, l'esistenza è limitata a quello che viviamo tramite i nostri occhi. Il cinema di finzione ha la possibilità di moltiplicare i punti di vista di un' azione con l'ausilio di altri occhi, quelli delle telecamere, e di approfondire la conoscenza di uno o più soggetti con la sceneggiatura e il montaggio. Se nelle vita reale incrociamo un nostro collega di lavoro o un nostro compagno di scuola, nello stesso momento in cui costui scompare dal nostro raggio di azione di quella persona non ne sappiamo più nulla, è un limite imposto dalla natura. Un film, anche se concentra lo svolgersi della trama nell'arco di una giornata, può farci vivere a noi spettatori la moltitudine di avvenimenti che contemporaneamente si svolgono in più posti.
Elephant apre una finestra su quanto può essere devastante quel periodo che tutti noi conosciamo molto bene: L'adolescenza. Il regista si limita (è il limite del film?) a descrivere, senza indagare, un fatto di ordinaria follia basandosi su un episodio realmente accaduto.
I piani sequenza non ci aiutano a penetrare la personalità dei protagonisti, prevalentemente inquadrati di spalle come a voler nascondere anche il solo sguardo, rivelatore di sentimenti, gli attori non protagonisti svolgono le loro azioni quotidiane consuete a qualunque studente di liceo, la telecamera osserva senza occhio critico il via vai per i corridoi, le aule, la biblioteca, il cortile esterno, la mensa. Su questa parvenza di normalità, in quella che normalmente è "la vita di tutti i giorni", grava la variante Y, un tarlo che si innesca all'interno di un cervello probabilmente incline alle deviazioni e impone il suo arbitrio, un ragazzo apparentemente come tanti prepara una strage.
Non riesco a trovare altra spiegazione alla scelta del regista di gestire l'eccidio senza la minima reazione da parte delle vittime (emblematica la scena del ragazzo nero che si "consegna" al carnefice o la totale rinuncia di tutti gli studenti a scappare dall'istituto ) se non per l'intenzione di darle un valore simbolico, una metafora all'impossibilità di cambiare gli accadimenti della storia, sul libro del destino c'era già scritta questa triste pagina, nessuno avrebbe potuto sospettare niente e tentare di fuggire non sarebbe servito a nulla.
Possiamo prevedere e cambiare le sorti del destino?
Come è possibile non accorgersi di un elefante dentro una stanza?.