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LA SOTTILE LINEA ROSSA regia di Terrence Malick

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Invia una mail all'autore del commento Giordano Biagio     10 / 10  10/08/2005 11:20:40 » Rispondi


Un film di guerra insolito in cui i combattimenti non sono quasi mai motivi di spettacolo ma spesso occasioni per comunicare alcuni pensieri etici e filosofici dei soldati. Protagonisti del film sono i pensieri indicibili dei componenti del reparto, riflessioni soffocate dallo stridore cupo della lunga battaglia. Pensieri udibili nella loro associazione con un visivo della natura disposto al dialogo.
La maggior parte delle emozioni che il film suscita nascono dalla comuni-cativa magistrale del dialogo interiore dei combattenti con se stessi, la natura e la vita che sta per fuggire. Un’introspezione dal tono religioso. Solenne. In un contesto di combattimento colorato di orrori, percepito dai soldati sempre più come qualcosa di paradossale e straniante. Il film evidenzia alcuni aspetti fondamentali della conquista nel 1942 dell'isola di Guadalcanal nel pacifico da parte degli americani, lungo una scacchiera di guerra mondiale che dopo il trionfo americano sui giapponesi nella battaglia di Midway vede gli Stati Uniti imporsi come protagonisti nella lotta per la liberazione dal nazismo e dai suoi al-leati imperiali.
Nell’isola le motivazioni di guerra dei soldati americani appaiono psicolo-gicamente un po’ logore. Aleggia negli sguardi il terrore per un imminente scontro con i giapponesi. Si prevedono perdite ingenti di vite umane. In questa situazione la psicologia dei ruoli di alcuni ufficiali si incrina mentre in altri il desiderio omicida si esalta. Nascono da una parte riflessioni introspettive e critiche sempre più incontenibili e dall’altra, forti dell’alibi della discolpa che dà la guerra, si manifestano spinte all’annullamento di ogni pensiero umanista. In alcuni soldati morte e poesia si abbracciano in un ultimo e disperato dialogo etico con il mondo, in altri la paranoia dell’istinto di sopravvivenza denudato di ogni elemento di razionalità prende il sopravvento. La lentezza delle sequenze visive (70 minuti la scena di guerra) e l’irrompere visivo e significante di una natura viva ferita anch’essa dalla guerra consente una narrazione a tre istanze soggettuali che dà efficacia e profondità al dialogo. Narrazione priva di quella forma comune di spettacolo verbale tendente all’insinuazione enigmatica del male o al dettaglio evocativo forzato che caratterizza il film classico di guerra. I dialoghi interiori sono ricchi di un vero indicibile che può essere solo pensato. Acquistano proprio per questo significazione poetica e psicologica mettendosi in contrasto con tutte le linee di condotta del film tipico di guerra. Lontano quindi da quelle sceneggiature fondate su intrecci di racconto sempre più prevedibili perché prelevati da una gamma di modelli precostituiti basati sul lieto fine.
Il film evidenzia bene anche l'assurdità delle motivazioni psicologiche pri-vate che stanno spesso dietro alle decisioni di arruolarsi da parte dei soldati e degli ufficiali. Sottolineando come questo assurdo possa infiltrarsi con varie forme di stranianza in momenti decisivi della scena di guerra, condizionando anche gli esiti di una mossa di combattimento. Ad esempio nel film ciò accade nel momento più inopportuno: quello che precede l’attacco alla batteria di fuoco situata in cima alla collina. In un momento di debolezza psicologica, dopo l’uccisione di molti soldati, in un contesto di sbando tattico si manifesteranno defezioni comportamentali gravi e inaspettate. Il colonnello Tall (Nick Nolte) analizza freddamente le stranezze poetiche dei suoi soldati. Stranezze più intuite che rilevate dai dialoghi. Egli correggerà le proprie valutazioni errate che hanno portato ad un primo scacco nei combattimenti, ma difenderà il suo ruolo con un eccesso di autorevolezza che lo porta al di là dell’umano. Tall riporterà i soldati al senso tradizionale della guerra che riguarda la ricerca della vittoria con ogni mezzo. Tollerando senza scrupoli ciò che nella logica della guerra compare puntualmente dopo il raggiungimento di un importante obiettivo: la crudeltà nei confronti dei nemici sopravvissuti. I suoi soldati si accaniranno ripetutamente contro i giapponesi superstiti. Con quella rabbia vendicativa colma di un odio abissale e priva di ogni rispetto dovuto che rende la guerra particolarmente orribile e carente di regole affidabili. Prende il sopravvento un impulso omicida ceco per chi ci ha procurato in combattimento il terrore di una possibile fine della nostra vita.
Conquistata la meta il colonnello Tall riflette su quanto accaduto e inter-preterà magistralmente le pecche comportamentali dei suoi uomini. Le analiz-zerà profondamente, sotto la spinta del potere conferitogli. L’intelligenza e l’arguzia meditativa, potenziati dal suo imminente successo di carriera frutto di calcoli, metteranno le cose a posto. Con cinismo e diplomazia allo stesso tempo proporrà per alcuni punizioni dure ma velate agli occhi della burocrazia militare, per la quale tutto deve apparire normale, e prometterà per tutti riconoscimenti pubblici onorevoli nonché promozioni di carriera.
Film grandissimo. Emoziona e coinvolge perché riesce a dar vita ai buoni pensieri e sentimenti all’interno di un quadro di guerra drammatico e atroce. Un film che ridà fiato all’idea di un’etica pacifista credibile e rilancia una filosofia della natura finalmente fertile anche di dialogo. La sceneggiatura si avvale di una verosomiglianza scenica e verbale di incredibile fattura. L’erba in primo piano macchiata di sangue, la foglia che si chiude quando viene toccata dal militare, i delicati e variopinti uccelli uccisi dal mortaio danno un’idea di distruzione totale operata dalla guerra con il suo potere sull’uomo e la natura. Un potere via via assoluto e incontrollabile che cerca in Dio il suo alibi per divenire morte necessaria.
Gli intrecci psicologici e culturali tra le persone in scena sono privi di ogni influenza classica basata sul linguaggio visivo della spettacolarità di guerra. I codici linguistici pescano con disinvoltura da generi filmici diversi. In questo film l'introduzione troppo estesa di linguaggi di guerra già collaudati avrebbe dato un ritmo stonato al racconto ponendolo fuori dalla possibilità di effetti poetici ed estetici così cari al regista Terrence Malick.
Sette nomination all’oscar ma nessuna statuetta in un’America che pare prendere la guerra troppo sul serio non apprezzando alcuna forma espressiva cinematografica che indebolisca con delle verità insolite la credibilità dei ruoli del soldato americano.


Heyitsmeuthere  19/08/2005 10:30:54 » Rispondi
ottimo, quoto al 100%, specialmente sull'ultima considerazione