amterme63 7 / 10 26/09/2011 18:37:28 » Rispondi Certamente un film molto legato al periodo in cui è uscito. Chi lo guarda oggi, se non ha vissuto quegli anni, fa molta fatica a comprendere. E' uno spaccato tragicomico di un pezzetto di società italiana anni '70, quella della campagna pratese. Il film documenta benissimo le contraddizioni di quel periodo, il contrasto fra una modernizzazione rampante (l'autostrada, la città in continua espanzione, una piscina a forma di palla, altri strani edifici ...) e una mentalità ancora tipicamente campagnola e popolana (la madre di Mario vestita alla contadina, i discorsi del padre della zoppa, i balli su una terrazza improvvisata, la tombola, ecc.). In questo modo di pensare ancora "arretrato" e un po' primitivo, piomba in maniera scardinante la modernità, sopratutto nella forma della libertà della libertà sessuale e dell'emancipazione delle donne e degli omosessuali. Il film in qualche maniera vuol far capire che il "popolo" non è in grado di recepire appieno le spirito di queste nuove libertà, le distorce, le adatta ai suoi vizi e ai suoi pensieri fissi. Se il "popolo" aveva dei difetti o delle caratteristiche particolari, la modernità non le corregge, piuttosto le esalta. Quello che si faceva in privato e di nascosto, ora lo si dice apertamente e alla luce del sole. E' così la libertà sessuale è diventata l'occasione per il boom dei film porno (questo film non è molto tenero con quei film che poi sarebbero diventati dei cult). Il materialismo del sesso la fa da padrone, in qualunque momento, in qualunque discorso, in qualunque persona. Questo è il popolo, senza infingimenti, senza ipocrisie, nudo e crudo, con i suoi pregi (la vivacità, l'arguzia) e i suoi difetti (la cattiveria, l'opportunismo): questo sembra vogliano dirci Benigni e Bertolucci. Questo film ovviamente esagera: è grottesco, è satirico. Questo aspetto va tenuto ben presente. In ogni caso lo spirito ritratto è veritiero. Altra cosa che allontana il film dal gusto di oggi è la tecnica estraniante, basata su una riflessione distaccata e riflessa di quello che si vede, non diretta. Non bisogna vivere le situazioni, ma rifletterci sopra. Dal punto di vista tecnico ci sono soluzioni molto interessanti e originali e infatti questo è un pregio del film. La cosa che però supererà tutte le epoche e farà restare questo film negli annali del buon cinema è il ritratto divertito e dolente che Benigni fa di Mario Cioni. Alla fine viene percepito più come una figura tragica, più che una figura comica. In mezzo a tutto il suo turpiloquio, le sue incertezze, le sue debolezze, c'è l'espressione di un animo candido, a volte ingenuo, senz'altro molto poetico e vero. Benigni, già con Mario Cioni, dimostra il suo talento nel mescolare il tragico con il comico.
E poi vedere questo film mi ha commosso tantissimo. Ho rivisto i luoghi delle mie scorribande in bicicletta quando era bambino: i campi separati dai filari di vite, i ponti sulle autostrade con la rete, i sottopassi fangosi, le larghe strade asfaltate in mezzo alla campagna, i campanili di Vergaio, la chiesa di Tobbiana, la piscina di Iolo (dove i miei amici facevano i corsi di nuoto e che io vedevo dalla finestra della mia scuola). Tutto questo purtroppo non c'è più. I filari di vite sono stati tutti espiantati e ora ci sono solo campi aperti. Dove c'era la larga strada nel niente, ora ci sono solo file interminabili di anonimi capannoni. Quartieri sono spuntati dal niente con i loro casermoni e le case lungo le autostrade sono ormai lì vuote e abbandonate. Le sale delle Case del Popolo non hanno più i tavoli pentagonali, non c'è più l'odore acre di fumo e di carte da gioco, non ci sono più i vecchini che giocano e bestemmiano, non ci sono più i ragazzini che giocavano a nascondino e al dottore. Non c'è più la giovinezza.