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IL DIARIO DI UN CURATO DI CAMPAGNA regia di Robert Bresson

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Invia una mail all'autore del commento wega     10 / 10  15/08/2009 21:08:31Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il cinema francese, tra i tanti, ha avuto anche l' antimoralista Renoir, l' intimista Truffaut, e lo spiritualista Bresson. Se nei film di Renoir i suoi protagonisti si scaricavano sulla società, pur essendo personaggi genuini e sinceri (ecco perché si può parlare di antimoralismo), quelli di Bresson, al contrario, sono come spugne che assorbono le angherie di un male sociale, che per Bresson, è ufficialmente incurabile. E' il caso del prete - malato di cancro - di quest' opera che è il primo capolavoro assoluto del regista, dove, ne "Il Diario di Un Curato di Campagna", per parossismo può sembrare, è più grande il dolore morale inferto da un amico morto suicida che il dolore fisico del cancro stesso; o dell' ufficiale francese di "Un Condannato a Morte è Fuggito", successivo capolavoro, l' asino di "Au Hasard Balthazar", altro capolavoro assoluto, la Santa Giovanna d' Arco o la ragazzina Mouchette. Se si parla di spiritualismo è inevitabile l' incontro con la religione e la fede in Dio. Tutti gli "eroi" di Bresson - chi più, chi meno - sono stati toccati da questa condizione: Giovanna d' Arco si sentiva addirittura prescelta da Dio, ma altri, dichiaratamente, come a molti succede poi nella propria vita, "pregavano solo nei momenti peggiori". Questo film del 1950 invece, rappresenta con "Nazarin" di Bunuel, l' atto estremo di fede mai apparso su pellicola. E punti in comune tra le due opere non saranno pochi.
E' la storia tratta dall' omonimo romanzo di Georges Bernanos di un giovane curato di campagna di Ambricourt, che nonostante tutti i buoni propositi collezionerà fallimenti a destra e a manca, ritrovandosi a morire poi, solo, di cancro allo stomaco, a casa di un prete spretato. La purificazione e la Grazia attraverso un percorso cristologico - come Nazarin - dove la mise en scène bressoniana è rigorosa ed essenziale espressione della sofferenza interiore del protagonista, condannato in una algida solitudine (al di là del cancello a sbarre, metafora che ritornerà, facile ma appena suggerita) scandita dal racconto in prima persona dell' Io (spirituale) del curato attraverso le annotazioni sul diario, che se non sbaglio, vengono riportate fedelmente dal testo da cui è tratta l' opera. Uno dei capolavori massimi della Storia del Cinema.
Ciumi  16/08/2009 12:30:08Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Bravo... questo sì che è un commento degno di Bresson.
Invia una mail all'autore del commento wega  17/08/2009 13:16:15Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Oh!! Basta dare 'nocchiata più giù..
Ciumi  17/08/2009 13:54:36Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ho dato un’occhiata più in giù (non tanto in giù perché a leggere troppi commenti dello stesso film m’annoio), preferisco il tuo, più spontaneo e sentito. Coincidenza a ULTRAVIOLENCE ho appena risposto ad un suo commento che non mi era affatto piaciuto, proprio su un film di Bresson (Il diavolo probabilmente). Quindi non faccio i complimenti a tutti..
Invia una mail all'autore del commento wega  20/08/2009 20:39:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ma non ci credo, ULTRAVIOLENCE? E' uno dei più bravi in assoluto..accapire..