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FAUST (1994) regia di Jan Svankmajer

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Posetitelmuzeya     9 / 10  12/10/2010 00:05:46Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Questo è a mio avviso il capolavoro di Svankmajer, il suo film più geniale, complesso e affascinante. Essenziale è il dialogo fra il protagonista-Faust e Mefistofele, venuto a trovarlo in camerino in una pausa dello spettacolo, essendosi ormai fuse la dimensione reale e quella finzionale: quando l'impiegato-Faust, recitando la parte, chiederà a Mefistofele "adesso cerco la forza, la ragione che governa la vita, e non solo nel suo aspetto esteriore", questi gli risponderà che l'uomo può conoscere soltanto "i pensieri che il linguaggio può esprimere", e che alcune cose travalicano i limiti della parola; Faust replica "e il desiderio e l'affetto, l'afflizione e il dolore? Non posso descriverli, ma li sento nel petto", e Mefistofele risponde: " non hanno sostanza, come la nebbia", e Faust: "dunque anche l'uomo è solo aria..."; poco dopo il diavolo svelerà a Faust che gli manca l'ingegno per vedere "il cuore e l'anima della natura in ogni singolo filo d'erba".
Insomma, la conoscenza è un'illusione creata dal linguaggio in quanto l'uomo può conoscere solo mediante esso e le rappresentazioni fittizie che questo produce, oltre il linguaggio non c'è nulla, c'è solo la natura come mens momentanea, come generazione spontanea e istantanea, priva di un progetto; o ancora meglio, al di la del linguaggio c'è solo l'eterno ritorno dell'identico, in cui tutto si ripete all'infinito tornando uguale a sè stesso (anzi: eternamente "spostato" da sè stesso, sempre differente da sè). La stessa recita cui il protagonista prende parte è la riproposizione di qualcosa che è già accaduto e che continuerà ad accadere in eterno, e che l'uomo non fa altro che ripetere di volta in volta automaticamente credendo di esserne il soggetto, mentre invece ne è solo attraversato; i fantasmi che si presentano al protagonista sotto forma di burattini, giocattoli vuoti che ripetono la loro parte meccanicamente (e non troppo differenti da quelli di Alice, il precedente lungometraggio del regista), non sono altro che i simulacri dell'eterno ritorno, i fantasmi prodotti dall'eterno ripetersi dello stesso.
Il Mefistofele di Svankmajer dunque, è proprio il demone dell'eterno ritorno, una sorta di Dioniso nietzscheano, come sembrerebbe confermare anche la scena dell'invocazione di quest'ultimo, pronunciata dall'interno di un cerchio disegnato per terra, e durante la quale vediamo mutare più volte il paesaggio attorno al protagonista, come se in quel momento egli passasse attraverso tutte le infinite volte in cui quella scena si è ripetuta.
Nell'eterno ritorno però, tutto si ripete ma in maniera sempre differente da sè stessa, nulla torna identico a sè e quindi nessuna identità, nessun Io sopravvive; per questo assisteremo alla progressiva frammentazione del protagonista, prima quella del suo Io, che si scinderà in tanti piccoli Io quante sono le parti da recitare e le realtà che si vengono a sovrapporre, alla fine addirittura, frammentazione corporea. (P.S.: onde evitare accuse di plagio e copia e incolla, premetto subito di essere lo stesso utente del sito www.film.tv.it che ha scritto questa recensione).
Invia una mail all'autore del commento Steppenwolf  12/10/2010 14:33:32Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Bellissimo commento!