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NON SI UCCIDONO COSI' ANCHE I CAVALLI? regia di Sydney Pollack

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ULTRAVIOLENCE78     8½ / 10  10/07/2008 20:17:23Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
“They shoot horses don't they?” rappresenta il punto più alto della carriera da regista di Sidney Pollack. Un amaro, disilluso e nichilista ritratto dei reietti della società, ridotti allo stato di bestie pur di tirare a campare.
Il personaggio centrale è quello di Gloria (interpretato dalla bellissima e bravissima Jane Fonda): una donna provata dalla vita, che tenta disperatamente l’ultima carta per emergere dalla mediocrità di un’esistenza fatta solo di delusioni e umiliazioni. E’ lei il soggetto latore del pensiero disincantato del regista (e prima ancora dell’autore del romanzo, da cui il film è tratto, Horace McCoy): Gloria paragona la condizione di tutti i disgraziati che si accingono a partecipare alla maratona di ballo a quella degli animali, con l’aggravante che essi, al contrario, delle bestie, sono coscienti della “mattanza” cui vanno incontro; si indigna di fronte alla donna incinta, accusandola di mettere al mondo un essere umano destinato ad una vita miserevole; e infine, quando ormai ha maturato la piena consapevolezza che dalla sua condizione non c’è via di scampo, si sfoga con il suo compagno di ballo facendogli capire che nulla potrà mutare nelle loro vite frustrate. La vicenda di Gloria si svolge all’interno di un’arena nella quale è stata indetta una assurda e massacrante gara di ballo, con la quale viene oggettivata l’agghiacciante metafora della esistenza degli emarginati i quali, come fossero sempre al centro di uno spettacolo che non offre scappatoie, ci vengono mostrati come degli eterni fenomeni da baraccone costretti ad esibirsi ed esporsi al pubblico ludibrio solo per garantirsi la sopravvivenza: sopravvivenza che spetterà solo ai più instancabili e tenaci. Eloquentissima, a tal fine, tutta la sequenza, allo stesso tempo grottesca e inquietante, della maratona forsennata attorno alla pista, simbolo di una corsa disperata verso una meta da raggiungere al prezzo della propria dignità. Ad assistere allo stillicidio-eccidio dei concorrenti vi è il pubblico voyeur e sadico che si pasce delle sofferenze altrui, traendone nutrimento per le prorie basse pulsioni (è inutile, siamo sempre al principio di tutto: dalle arene dell’antica Roma alle “isole dei famosi” di oggi). Lo spettacolo messo in scena da Pollack assurge, quindi, a drammatica rappresentazione dell’umanità, contrassegnata ciclicamente e inesorabilmente dalla prevaricazione e dall’assoggettamento, di cui è espressione la suddivisione in classi e, più in generale, tra privilegiati e miserrimi.
Il tragico epilogo ha richiamato alla mia mente il finale di “Accattone”, di cui ricalca la visione nichilista.