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NON SI UCCIDONO COSI' ANCHE I CAVALLI? regia di Sydney Pollack

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JOKER1926     7½ / 10  29/05/2012 01:40:31Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La metafora dello spettacolo, fenomeno per la massa, processo sublime dell'economia, trova rappresentazione, forte e violenta, in "Non si uccidono così anche i cavalli?".
Sydney Pollack nel titolo del suo film (1969) mette tutto quel che serve; l'uomo è trattato (e si fa trattare) come un animale robotizzato nel suo intento di riuscire a concretizzare un misero obiettivo che, nel film del regista, si presenta nelle forme di un premio di mille e cinquecento dollari.
La vena che affligge l'anima de "Non si uccidono così anche i cavalli?" è quella di una bordata di cinismo che, nell'ambito cinematografico, trova si e no qualche rivale, ma, effettivamente, la fantomatica cerchia di rivali è numericamente circoscritta.
Cinismo e drammaticità dunque muovono i fili di una sceneggiatura incentrata sulla miseria umana, fra situazioni incredibili e purtroppo pure ironiche.

La storia di Pollack vede anime di uomini e donne costretti, giocoforza, a dar vita ad una (presunta) spettacolare maratona di ballo, fra deterioramento fisico e mentale. In tutto ciò, lo spaccato temporale, gli anni della grande depressione americana, dettano le irrimediabili dinamiche.
In questo prodotto non esiste nessuna via di scampo, abolito il sentimento, "Non si uccidono così anche i cavalli?" si autoimpone come tremendo dipinto di un qualcosa di estenuante e di incredibile.
Le corse, per esempio, danno quel senso di tragicomicità e decretano la povertà mentale della massa americana che paga per "vedere".
La regia oltre ad addensare spietatezza e tristezza nell'apparato contenutistico sgancia una confezione tecnica di grosso rilievo. Fotografia di buon livello e attori di grande spessore. Ricordando tutte le prestazioni degli interpreti, sale in cattedra quella di Jane Fonda. L'attrice mette in scena la massima impassibilità , la malinconia e la frustrazione schiantano ogni animo, ogni spettatore.
Tutti questi sentimenti "grigi" si riconfermano a voce alta in un finale a circuito chiuso, ennesima batosta concettuale (e visiva), il pubblico, a questo punto, depone davvero le armi alla corte di un qualcosa di forte e di beffardo che fa capo alla pura e mastodontica povertà (i temi, oltretutto, sembrano pure attuali).
L'ultima inquadratura di Pollack è di quelle che sanciscono, a pieni voti, la potenza e la freddezza che il Cinema può e deve, alle volte, irrimediabilmente offrire.

"Non si uccidono così anche i cavalli?" a chi la visione?
Ad un pubblico che vuole vedere ciò che è l'anti commercio cinematografico. In questo viaggio, su questi binari, cadono i parametri convenzionali, si surclassano le illusioni. Non basta nemmeno quella simpatica e carismatica vecchietta spettatrice che "stravede" nel numero 67 a cambiare e ad indirizzare i fili della storia verso un finale "roseo" o, perlomeno, non così accanito.
Il film nelle sue due ore di proiezione mostra una freddezza e ritmi incredibilmente frenetici, insomma la staticità spaziale non frena quella incredibile competizione fatta di estenuanti risvolti.
Questo è Cinema per chi sa soffrire, per chi vuole soffrire. Logoramento potente.