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LETTERE DA IWO JIMA regia di Clint Eastwood

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     10 / 10  07/03/2007 01:12:40Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Da tempo non avevo bisogno di un superalcolico per stordirmi all'uscita dal cinema, ed è fatalmente accaduto stavolta.
Credo che la gente sia troppo stanca e pigra per affollare i cinema davanti alla monumentale (ribadisco) giostra (bellica) della memoria (sepolta) di Eastwood e farebbe male: il film è un CAPOLAVORO che reca tutte le ferite brutali della guerra ma soprattutto del conflitto interiore (ben piu' devastante) dell'umanità intera.
Un cinema, di cui Eastwood è testimone assoluto della sua storia, che va ben oltre la sua classicità, riuscendo a creare un trait d'union tra la Visione occidentale di Ford. Hawks, Wilder e Milestone e quella orientale, con il suo (indiretto?) tributo a Ozu e a Kon Ichinawa, con i suoi spazi aperti e chiusi, con la sua (che sia strabenedetta in questo caso) retorica del bisogno enorme o imbelle di trovare un briciolo di "resistenza umana" nel contesto della brutalità e dell'eroismo in difesa della propria patria (quasi comprensibile, in fondo).
Il respiro classico di Eastwood investe la storia, la provoca, la rievoca come se il film stesso diventasse la vocazione individuale di ognuno dei protagonisti di lordare tutta la rabbia e di voler sfuggire all'ombra della morte, al suicidio/omicidio della sconfitta o della vittoria.
La Storia è come un Mondo Sommerso divorato dalla sabbia e dal fango, dove il ritrovamento delle lettere conduce ad una strana alleanza con il respiro soggiogato e soffocato dell'evento, come se quegli uomini avessero un bisogno urgente di aggrapparsi all'unica forma di vita, il sentimento coniato dal rimpianto e dal disperato bisogno di continuità (la nascita di un figlio testimone del futuro).
Nel primo tempo, E. riesce miracolosamente a preservare l'ambiguità del patriottismo rammentando che le truppe giapponesi di Iwo Jima erano insufficienti a combattere per difendere la loro isola... una storia che ne ricorda altre, a noi piu' vicine, ed è come trovassimo un'illuminazione una sorta di immaginario confronto tra i superstiti rei di esprimere la loro rabbia, magari in un contesto mediologico assai lontano...

La guerra di Eastwood è un Teatro della Morte ma è anche espressione di una confusione retriva, di un'abnegazione all'ordine, con quegli oggetti sparsi per caso e le pessime condizioni igieniche, è dove si puo' sparare per uccidere soggetti di cui non conosciamo la visuale (sorprendente in tal senso la sequenza del soldato che esce a liberare un barile di feci e si trova davanti all'apoteosi del nemico su tutti i fronti....), quasi privati della loro identità, e spargere lacrime VERE per la morte di un cavallo o l'uccisione di un cane.
Con almeno una sequenza agghiacciante da consegnare negli annali della storia del cinema splatter e non solo (il suicidio, come un rito collettivo di un gruppo di soldati attraverso delle bombe a mano) e la solenne umanità del comandante Kuribayashi davanti alla sorte di un prigioniero Usa (ma perchè è tanto illeggittimo rappresentare l'umanità anche in questi contesti? V. le polemiche sul coraggioso "black book" di Verhoeven), "Letters from Iwo Jima" ci restituisce un cinema che è un'insindacabile senso di giustizia non solo alla memoria ma anche al bisogno di trovare il nesso dell'obiettività neutrale nel meccanismo dei war movies.
Assolutamente incompiuto senza il gemellare "flags of our feathers", soltanto meno (molto meno) metaforico, con una spietata analisi non della crudeltà degli uni o degli altri, ma della reazione incontrollata dell'Uomo nel suo habitat piu' innaturale e bestiale: pensate solo che, nell'immensa apoteosi brutale della guerra, un disertore che si costituisce viene ucciso per una semplice omissione di "doveri".
Nel Sabbatico Inferno della Guerra l'azione piu' nefasta puo' avere amene motivazioni, una vera beffa esistenziale...
Strepitoso e irrazionalmente Liberal il Comandante di Ken Watanabe (già indimenticabile protagonista del "sole" di Sokurov): uomo che conosce il dualismo tra la vita e la morte, e sceglie entrambe.
Di Eastwood e del suo cinema non saprei piu' cosa dire, come collocarlo: se è vero che molto è stato già detto e scritto e diretto, quest'autore ultrasettantenne celebra l'universalità del cinema stesso e, contemporaneamente, il degrado dell'umanità "che non sa piu' riconoscersi".
shineonthepiper  07/03/2007 01:20:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
bellissimo commento, concordo anche sul voto.
(il protagonista de il sole di sokurov non è issei ogata?)
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  07/03/2007 10:29:16Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Eh mi sono sbagliato... sono rimasto stregato da quest'attore orientale, e mi sono confuso... devo assolutamente saperne di piu'
maremare  11/03/2007 09:22:35Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
eheheh allora anche i kow sbagliano..:)