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LETTERE DA IWO JIMA regia di Clint Eastwood

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jack_torrence     9 / 10  14/01/2011 21:03:23Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un film che si pone anzitutto come omaggio a colui che è stato il nemico, e seppur firmato da uno per cui il concetto di patria ancora ha un valore, non disdegna autocritiche come quella in cui si vedono i soldati statunitensi assassinare i due giapponesi che si sono arresi.

Nel corso della prima parte del film (prima della battaglia), viene da chiedersi quanto possa essere antimilitarista un film, che ancora appare incentrato sulla figura del generale interpretato dal superbo Ken Watanabe, il quale non può contemplare l'ipotesi della resa - pur di fronte a una inevitabile sconfitta - che nella logica dell'umanesimo di cui pare pervaso salverebbe le vite di migliaia di ragazzi. Seppure la resa sarebbe impossibile, sia per l'etica nipponica, sia per mere ragioni di comando militare, incentrare un film su di una figura dai valori militari così "integerrimi" fa ancora dubitare del respiro antimilitarista del film.

Non che la seconda parte sia esplicitamente antimilitarista.
Ma che dipinga, in maniera altissima, l'immenso orrore e la devastante insensatezza della guerra, è fuor di dubbio.
Vengono incastonati alcuni flashback preziosissimi: su tutti, quelli della visita del generale nipponico in USA, prima della guerra.
I ralenti, la colonna sonora intimista (un delicatissimo sottofondo di piano dal sapore vagamente nipponico), il precipitare - potentemente espressivo - nelle tenebre delle gallerie (fotografia meravigliosa)... tutto concorre ad esaltare la potenza di un affresco complesso, magnifico, durissimo.
La scena finale della discoperta "archeologica" delle lettere, è dolorosa, emozionante, esprime con intensità il legame con il passato e la sua immanenza materiale, "archeologica" appunto. Che la poesia dell'arte, di questo film, fa rivivere.

Lo stile di Eastwood è asciutto quanto l'isola vulcanica di Iwo Jima è spoglia e nera; viene in mente la stessa relazione tra stile e ambiente che vive tra l'umanesimo di Malick e la natura lussureggiante dell'isola tropicale di Guadalcanal (in "La sottile linea rossa").

Aver estratto dal nero - il colore dominante del film - una scintilla di umanità non arresa all'orrore dell'uomo, è il pregio estetico più grande di questo film memorabile.