kowalsky 7½ / 10 23/03/2007 14:16:28 » Rispondi Esistono film che catturano "a distanza": li vedi e ti lasciano già "qualcosa" ma obiettivamente non riesci a entusiasmarti. Poi ti accorgi anche dopo molto tempo che quel film resta indelebilmente nella memoria, e che non avevi colto le sue potenzialità. Mi è accaduto anche stavolta: sono andato a rileggermi il commento un po' severo espresso in occasione dell'ultima Mostra del Cinema di Venezia, parlavo di impianto fin troppo televisivo (ed è vero), di staticità, etc. ma anche della grandissima interpretazione della Huppert. Forse avrei dovuto empatizzare meglio con la storia: "Proprietà privata" è un film particolarissimo e affascinante: un film che esplora i legami famigliari vincolati e quelli che vengono drammaticamente recisi per sempre. La "proprietà" è il fulcro di un legame paterno (è proprietà del padre, divorziato dalla moglie), e unisce come un cordone ombelicale i due (odiosi, apatici e viziati) gemelli mentre la madre, che ha dedicato fin troppo la vita ai figli, pretende una decisiva indipendenza. La casa è il simbolo della convivenza e, successivamente, della tragedia, il Sogno Borghese dove la famiglia vive e si annienta con essa, con la volontà della madre di cedere la proprietà. E' sorprendente pensare che la critica abbia paragonato il film a "I pugni in tasca" di cui conserva l'irrazionalità e la distruzione istituzionale (cfr. la famiglia) mentre è facile che l'ottimo Lafosse sia figlio illegittimo di Ozon o di Leconte, per la capacità di metaforizzare (ciascuno a modo suo) il soggetto. Splendida la sequenza dell'automobile che si allontana dalla "proprietà" insinuando il dubbio che ormai il baratro è inesorabile, e che non è piuù possibile tornare indietro