caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

THIRTEEN - 13 ANNI regia di Catherine Hardwicke

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
gerardo     4 / 10  17/01/2004 12:47:13Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Thirteen è un film che disturba. Non in senso figurato, cioè etico-morale, ma proprio letterario. E cioè fisico. Fa venire il mal di mare e dopo mezz’ora non se può più. Istradandosi sulla scia stilistica dei videoclippari dell’ultimo decennio tutta camera a spalla, zoom abusato, immagini sporche e montaggio frenetico, Thirteen, oltre a non aggiungere niente di nuovo sul piano della forma (ma questo in sé non è poi un disvalore, perché ritengo che copiare o semplicemente ricalcare uno stile sia cosa normale, se fatta bene), è un film di una banalità sconcertante. Al di là delle dichiarazioni d’intenti della regista C. Hardwicke e della cosceneggiatrice-coprotagonista-ispiratrice Nikki Reed sulla veridicità (autobiografica) dei fatti narrati, il film si presenta come una pseudotrasgressiva discesa agli inferi – e conseguente salvifica riemersione rappacificante (col mondo e col pubblico) – di una ragazzetta di 13 anni il cui passaggio dalle bambole ai peni (e alle pene) è così rapido e tumultuoso che non se ne vede il processo intimo in divenire. Come se da una sequenza all’altra l’ellissi narrativa desse per scontato anche quella etico-esistenziale della ragazza (Tracy), senza che vi si accennasse un briciolo di travaglio interno: da una sequenza all’altra vediamo Tracy passare dall’innocenza più totale (si pensi a una Caterina virziniana) alla trasgressione più devastante. La bambina che nessuno degna di uno sguardo, nel giro di due minuti di film la ritroviamo neodark-lady che fa sfracelli di maschi e donne pure. E se è pur vero che a quell’età, soprattutto se c’è già una predisposizione costitutiva, i cambiamenti sono drasticamente – e drammaticamente – repentini, non è possibile che questi non portino con sé delle tracce evolutive - e che non si riducano all’autolesionismo corporale di Tracy. È proprio questo processo evolutivo interno prodotto dal cambiamento – o dall’ansia del cambiamento – a mancare in Thirteen. Che per la sua forma (da videoclip) e per come risolve la sua struttura tripartita (situazione iniziale, evoluzione, soluzione finale) appare più un prodotto di grido ovviamente ruffiano e di approccio facile facile che un film che possa far riflettere. Denuncia da rotocalco (tra le righe?) della decadenza/caducità, della falsità della società dei consumi e del sistema educativo americano (apparato scuola – famiglia), impregnati di pubblicità e beceri modelli e blablabla; una spruzzata di moralismo a buon mercato per prendere un po’ di qui e un po’ di lì; stile videoclip (cha fa tanto gggiovane) tanto per dare l’approccio e l’idea della durezza dell’argomento, cioè la (pseudo)trasgressione (della protagonista. Ma anche della regista?), ma che nell’insieme risulta di un conformismo più che consolatorio da puntata Nsima di Melrose Place o Beverly Hills. Thirteen è esso stesso un prodotto di consumo come i beni superflui denunciati (?) nel film.
Marco da Roma  17/01/2004 15:59:14Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ehi, io ho espresso più positivo del tuo; a parte questo, mi è molto piaciutoil tuo stile di scrittura, complimenti; addiruttura quamdo hai citato la "struttura tripartita" pensavo che ti riferissi alla forma sonata!
ciao
Dan Rose  22/05/2005 03:40:31Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
non ho visto il film ma concordo in tutto e per tutto