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L'UOMO DI MARMO regia di Andrzej Wajda

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amterme63     7 / 10  26/04/2008 15:24:55Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Wajda ha fatto un’opera ambiziosa, un’opera che riassumesse vent’anni di storia polacca e che rappresentasse qualcosa di formalmente esemplare. Purtroppo ha voluto inserire nel film troppi temi, trattandoli in maniera estesa invece che sintetica. Ne deriva un lavoro complesso ma che non colpisce, non penetra nella psiche. E’ come un lauto pranzo che si trasforma in un’indigestione o che ad un certo punto viene a noia perché si prolunga troppo.
La storia parte dal personaggio di Agneska, una giovane regista in erba che vuole sfondare nel mondo del cinema. Punta quindi ad un opera che sia anticonvenzionale e soprattutto mistificatrice della percezione della storia. Siamo in un paese “comunista” (la Polonia) negli anni ’70 e fare un’impresa del genere non è cosa facile. Scavare nella memoria storica è politicamente pericoloso e infatti Agneska si scontra con le burocrazie che sovrintendono alla creazione cinematografica. Lei però non demorde, animata com’è dall’idea che l’arte debba stare al servizio della verità e non del potere (in questo riflette senz’altro il pensiero di Wajda). Agneska rappresenta anche la giovane generazione femminista ed emancipata, volitiva e decisa (tante inquadrature con lei in pantaloni a gambe larghe, sempre frenetica, con piglio maschile), che vuole vedere e capire con i propri occhi.
L’oggetto della sua pellicola è Birkut, un ex-eroe del lavoro degli anni ’50 (gli anni dello stalinismo). Insieme a lei visioniamo i cinegiornali di quegli anni (in parte veri, in parte ricreati da Wajda) pieni di imprese gloriose, gente sorridente ed entusiasta fiduciosa del futuro, città e fabbriche che nascono dal niente (il paese di Nowa Huta) con sottofondo di cori e marcie da apoteosi. L’”eroe” in questione è un giovane ex-contadino dalla faccia mite, un po’ ingenuo ma che è carico di voglia di spendersi per gli altri, per il suo popolo, per un riscatto della povera gente a cui lui crede genuinamente. Nei cinegiornali è autore di mitiche imprese, svolge una vita regolare (si sposa) e felice, contento di quello che gli offre il “socialismo”. Diventa un esempio per tutta la nazione, ma poi cade in digrazia.
Agneska si affeziona al personaggio del suo film e si dà da fare per approfondire la storia reale, vera che sta dietro ai cinegiornali. Va a intervistare il regista dei videogiornali, un funzionario di partito di quell’epoca, l’amico del cuore di Birkut e infine la sua ex-compagna (in realtà non si erano mai sposati). Da questo punto in poi il film diventa un palese parallelo con Quarto Potere di Orson Welles. I personaggi del presente raccontano con flaskback filmati le vicende di Birkut e loro stessi com’erano. Con il racconto del regista di cinegiornali vengono svelati i retroscena dei film propagandistici degli anni ’50. Insomma non era oro quello che brillava. Solo Birkut credeva a quello che faceva. Il regista così ligio all’ideologia è adesso un personaggio famoso, ricco e che pensa solo al successo.
Lo zelante funzionario di partito ci mostra la caduta di Birkut, il quale fin troppo onesto e fin troppo disinteressato, dava noia a troppi potentati e quindi è stato ridotto all’impotenza e diffamato con un processo farsa. Questo zelante ex-funzionario adesso fa il ricco tenutario di un locale di spogliarelliste/prostitute.
Witek, l’amico del cuore, ci fa vedere il rifiuto di Birkut di entrare nella nomenklatura, visto che il vento era cambiato e gli ex perseguitati erano ora al potere. Birkut era rimasto povero mentre Witek era diventato il potente direttore di mega-acciaierie, quasi un tycoon capitalista. Infine l’ex-compagna ci fa vedere il fallimento sentimentale di Birkut. Lei alla povera onestà che poteva offrire Birkut ha preferito la ricchezza e la rispettabilità borghese di un piccolo negoziante.
Il messaggio è chiaro: il “comunismo” non è riuscito a sviluppare il suo vero spirito, ha tradito le persone sincere e disinteressate come Birkut ed è stato preso in mano da ambiziosi, potenti e avventurieri che lo hanno trasformato in una pallida copia del borghese capitalismo.
Arrivati faticosamente a questa conclusione, il film non ha però il coraggio di lasciarci con il cerino in mano. Come il finale posticcio di Quarto Potere, anche qui si è voluto attaccare una specie di appendice con una “conclusione” alla storia. Il testimone passa al figlio di Birkut che, guarda caso, lavora agli stabilimenti navali Lenin di Danzica, il luogo di nascita di Solidarnosc e della sollevazione del 1980. In fondo, Wajda, come un po’ tutti i suoi concittadini, non aveva idea di cosa fare (ricreare lo spirito originario del comunismo o adeguarsi ai tempi?) o cosa gli aspettasse con la fine del simulacro del comunismo … Anzi forse la storia di Birkut (tante belle speranze tradite) si è proprio ripetuta dal 1989 in poi.