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AMERICAN BEAUTY regia di Sam Mendes

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kafka62     7 / 10  09/05/2018 16:08:43Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non so se il merito del successo commerciale di "American beauty" vada al suo lolitismo, alla sua critica graffiante della società americana o al suo andamento da soap opera. Il fatto che il film sia un melange di elementi e generi diversi (non ultimo il thriller) non depone forse a favore della sua originalità, ma il lavoro di astrazione e di elaborazione simbolica che esso opera è tutt'altro che superficiale, simile (anche se non proprio identico) a quello del lynchiano "Blue velvet". Abbiamo qui infatti un quartiere residenziale abitato da famiglie facoltose, villette a due piani, giardini ben curati, genitori impegnati nell'autorealizzazione professionale e figli adolescenti belli e annoiati. Tutto è smaccatamente finto, a partire dai divani da 4.000 dollari che fanno bella mostra di sé nei salotti fino ad arrivare a quel personaggio stereotipatissimo da telenovela che è il "principe delle compravendite immobiliari", cinico portatore di uno dei due principi cardini di questa odiosa e mediocre middle class borghese, quello secondo cui per avere successo è essenziale avere sempre l'immagine di una persona di successo. Apparire è meglio che essere, quindi, e il training autogeno diventa ovviamente un must irrinunciabile. Il secondo principio è invece enunciato dalla giovane pin-up di cui si infatua Lester, secondo la quale tutto è preferibile alla sorte di diventare una persona qualunque.
E' proprio il personaggio di Lester-Spacey (che come il protagonista di "Viale del tramonto" è già morto all'inizio del film, anche e soprattutto metaforicamente) a funzionare da elemento di scandalo, di sovvertitore di queste regole ipocrite e filistee, simbolo e perno della società capitalistica. Dal momento in cui lascia la sua ben retribuita posizione da colletto bianco per un anonimo posto in un fast food, torna a fumare spinelli e fare ginnastica come un ragazzino "per potersi piacere nudo" e non si vergogna di esibire di fronte alla moglie un non ancora sopito desiderio sessuale, egli si mette contro tutta la famiglia e l'entourage che lo circonda. Ognuno da quell'istante avrà un motivo per detestare questo personaggio scomodo, diventato un capofamiglia inaffidabile, un ricattatore, un insidiatore di ninfette e persino (anche se in questo caso si tratta di un equivoco) un omosessuale. Uccidendolo, o desiderandolo uccidere, la moglie, la figlia e il vicino nazista uccidono in realtà quella parte di sé stessi che non sopportano di vedere e riconoscere, in quanto nella vita di tutti i giorni cercano tenacemente di soffocarla (vale a dire il rifiuto del conformismo, l'irresponsabilità, il prevalere degli istinti e della libido, in altre parole l'individualità e l'umanità nascoste in ognuno di noi). Il finale del film è paradossalmente e provocatoriamente gioioso come quello del non dimenticato "Toto le heros": la morte è l'estremo, ma non tardivo, riconoscimento che la vita è straordinariamente bella, persino in una soap opera dove si stenta a riconoscerla, persino nella semplice immagine di un sacchetto di carta portato in volo dal vento insieme alle foglie secche dell'autunno.