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21 GRAMMI - IL PESO DELL'ANIMA regia di Alejandro Gonzalez Inarritu

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gerardo     10 / 10  06/02/2004 17:06:56Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
“These fragments I have shored against my ruins” (T.S. Eliot)

Eccessivo, debordante, “pesante” 21 tonnellate come il senso di colpa che non scompare e che nessuna redenzione potrà mai cancellare dalla coscienza. Pieno, denso, di un’intensità che colma ogni sequenza. Un’intensità che è propria di tutti i frammenti che compongono il film a puzzle e che per la loro pienezza funzionerebbero quasi autonomamente. Eccessivo di un’eccesso mai stucchevole, che sfocia nel kitsch. Dove persino il dolore appare un po’ kitsch. Eppure, non c’è una virgola fuori posto, o in più. Tutto è eccessivamente – e pesantemente – misurato: non un gesto è fuori luogo, né una parola dei dialoghi suona stonata nell’incastro di dolori e lacerazioni che sorregge il film. Quanto grevi sono 21 grammi, che sono in realtà tonnellate, di dolore e di colpa, che nessuna punizione potrà mai redimere? È indicativo che tale film venga realizzato da un regista e da uno sceneggiatore messicani, terra, il Messico – come un po’ tutto il Sudamerica -, di forti e intransigenti tradizioni cattoliche. In questa cultura, che è saldamente anche la nostra, la colpa è lavata dal pentimento delle coscienze e dall’assoluzione “divina” che ne deriva, il più delle volte identificata (l’assoluzione) nel sacerdote che la somministra, salvando la pecorella smarrita dalla dannazione del peccato. Il kitsch dell’eccesso visivo ed emozionale del film è anche, concretamente, il kitsch della religiosità e della religione nei suoi simboli pacchiani ed esageratamente esibiti. L’esibizione ostentata del culto, affastellato di orpelli “coatti” che nell’immaginario rimandano al mondo latino-americano (qualcuno ricorderà la bizzarra quanto efficace scenografia del Romeo e Giulietta di Luhrman), amplifica esteticamente il senso d’impotenza della fede di fronte alla colpa, per eliminare la quale dalla coscienza il Signore nulla può fare. Anche la coscienza di Paul/Sean Penn, macchiata dalla duplice colpa di vivere col cuore di un altro, grazie alla sciagura altrui, e dalla codardia mostrata nei confronti della donna a cui ha preso tutta la sua vita, non può che essere lavata dalla morte per mano propria, così che quei 21 grammi potranno tornare ad essere leggeri come solo “5 nichelini o un colibrì”.
È indicativo, dicevo, che 21 grammi abbia tale origine, perché solo da una cultura profondamente cattolica (come quella messicana) poteva venire un discorso così lucido e doloroso sul senso di colpa inalienabile e così altrettanto profondamente critico dell’atteggiamento religioso di fronte ad esso.
Quanto alla forma c’è da chiedersi cosa sarebbe stato il film se lo si fosse costruito con un montaggio e uno stile classico e lineare. Io penso che la scelta di creare il puzzle, ma soprattutto di sezionare la storia in tante sequenze sparse, attribuisca al film quell’intensità e quella “pesantezza” dell’istante che altrimenti sarebbe perduta. Ogni singolo momento diventa fondamentale (di qui il concetto di “pienezza” del film), così come acquisiscono peso uguale tutti e tre i protagonisti, con le loro azioni e la loro coscienza, che nell’epilogo extraurbano vengono riuniti in una resa di conti con se stessi. Epilogo che ricorda, per il cambiamento scenografico e fotografico di ambiente e situazione, quello di Seven, altro film sul “peccato”, di cui sembra ribaltarne la prospettiva in senso autocoscienzioso di intimo tormento. (Anche in questo film i tre protagonisti si ritrovano insieme per una resa di conti finale in uno spazio aperto, desertico e assolato, che contrasta con l’atmosfera e l’ambiente dominante fino a quel momento. Ma laddove, in Seven, la speranza era negata, in 21 grammi sembra riaffiorare con la notizia di una nuova nascita).
Un film - 21 grammi - che non “metabolizza” il senso di colpa come d’abitudine (comoda) nella nostra cultura autoassolutoria (e consolatoria), penso che abbia tutte le carte in regola per risultare fortemente (e inconsciamente) indigesto e mal sopportato. In conclusione, appare persino superfluo citare la strepitosa interpretazione dei tre protagonisti e della loro perfetta resa del dolore. Questo è cinema ad altassimi livelli.

ziotom77  26/03/2004 01:28:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
minkia... un pò + lungo no?