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LE VALIGIE DI TULSE LUPER - LA STORIA DI MOAB regia di Peter Greenaway

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76mm     6 / 10  06/09/2018 13:18:50Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Greenaway elevato alla Greenaway, chi è fuori è fuori chi è dentro è dentro.
Qui c'è la summa delle ossessioni e del modo di intendere il cinema del regista gallese, il culmine di una filmografia mai banale né accomodante verso il pubblico ma fino a qui sempre attenta a lasciare qualche boccone anche allo spettatore medio (quello che se paga il biglietto allora "pretende" di vedere qualcosa che debba piacergli e che possa comprendere) che qui invece viene preso a ceffoni (metaforici eh) dall'inizio alla fine.
Da questo punto di vista, pur non avendo nulla in comune come tipo di film, mi viene spontaneo accomunare quest'opera ad Inland Empire di Lynch.
Il mio voto è interlocutorio (e poco coraggioso, lo riconosco)…l'ho già visto due volte e ancora non riesco a capire se mi è piaciuto o meno, se davvero rappresenta una svolta epocale per la settima arte o se si tratta solo di cinema (cinema?) onanistico e masturbatorio, come molti critici l'hanno definito.
Sicuramente non è un film che strizza l'occhio allo spettatore o che gli permette di mettere il cervello in standby e questo è sicuramente positivo.
Però capisco anche chi non sta al gioco, che tutta questa sperimentazione visiva non associata ad un plot seguibile può facilmente generare distacco e in molti casi anche una certa irritazione.
Il fatto che in Italia sia passato praticamente inosservato e che i successivi due capitoli, che sarebbero fondamentali per poter avere una visione complessiva dell'opera (e forse coprire i tanti buchi lasciati aperti da questa prima parte), non siano mai stati distribuiti né da noi né in molti altri Paesi (che non siamo solo noi italiani i caproni che rifiutano l'innovazione) è la logica conseguenza di questo rifiuto di dare anche la carotina al pubblico oltre alle bastonate.
Le opere successive di Greenaway (Nightwaching, Goltzius, Eisenstein in Messico), pur sempre profondamente personali e lontane da ogni facile moda, sono tornate dentro binari più rassicuranti e "vendibili" ad una fetta più ampia di pubblico e questo può essere (forse) interpretato come una sorta di dichiarazione di resa da parte dell'artista.
Che comunque merita ammirazione anche solo per averci provato.