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LE VALIGIE DI TULSE LUPER - LA STORIA DI MOAB regia di Peter Greenaway

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gino di dinacci     10 / 10  25/01/2004 02:48:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Se si potesse traferire al cinema una metafora musicale, per questo film si dovrebbe parlare di polifonia dell'immagine, polifonia dello sguardo. Anche la trama fornita da Filmscoop fatica a dare un'idea di cosa realmente sia quest'ultima opera di Greenaway. E, d'altra parte, sarebbe riduttivo (oltre che inutile) parlare di trama. Il pensiero cinematografico di Greenaway è avanti di 20-30 anni; credo che oggi Greenaway sia l'unico a infischiarsene beatamente di tutte le regole (tutte vecchie di cento anni) che fanno fare "cassetta", alle quali tutti, ma proprio tutti (anche quei registi che si dichiarano sperimentalisti) soggiaciono. Forse solo Godard... Non è un caso che per produrlo ci sia voluta una coproduzione internazionale di 6-7 paesi. Polemiche a parte, ci troviamo di fronte a un modo totalmente diverso di concepire l'immagine cinematografica, i meccanismi narrativi, il montaggio. L'occhio non sta fermo un momento: immagini plurime, seriali, suoni, voci, inserti scritti, tutto inserito nel (macro)cosmo autistico di Greenaway e del suo alter-ego dai tempi di A Walh throgh H: Tulse Luper, che qui, ha un volto e un corpo. E forse questo toglie un po' di inquietudine a quel personaggio che ricorreva un po' come un demiurgo-testimone invisibile (e introvabile) nelle storie di Greenawy (vedi The Falls e il testo pubblicato con il titolo "Voli fatali"). Unico neo: questa brutta abitudine sempre più frequente di spezzare i film in due-tre parti.
Gruppo STAFF, Moderatore Lot  19/02/2004 13:52:43Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Volevo solo dire alla redazione che si dice valigie, non valige!