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LE VALIGIE DI TULSE LUPER - LA STORIA DI MOAB regia di Peter Greenaway

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elio91     8 / 10  02/01/2011 19:03:54Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Quando si parla di un film di Greenaway si parla di Greenaway stesso; tutti i suoi film sono opere personali per stile,contenuti e idee. Con il tempo l'artista gallese si è allontanato sempre di più dal cinema inteso come tale ed è andato oltre; certo bisogna considerare che anche agli inizi i suoi lungometraggi sono sempre stati pieni di uno stile mai accomodante ma sempre affascinante per le immagini e le storie proposte;
le sue opionioni su un cinema vecchio,inutile e morto non le condivido ma rispetto immensamente questa sua pretesa arrogante,saccente e coraggiosa di dare vita ad un nuovo modo di intendere il cinema da considerarsi un evoluzione,anzi una nascita in quanto Greenaway dice che il Cinema non è mai nato.
Accusato e stimato per gli stessi motivi (onanista,eccessivo,senza mezze misure e unico) questa volta Greenaway ha fatto una summa di tutta la sua arte e l'ha piazzata in un progetto di enorme portata pensato da anni; pochi dubbi: questo è cinema moderno come nessun'altro ha fatto e sa fare.


"Il cinema come viene generalmente inteso è reazionario, fuori moda e privo di qualsiasi interesse. Ma come postmoderni non possiamo che costruire il nuovo cinema su quello esistente" (Peter Greenaway)


Tulse Luper è un evidente alter-ego con cui il regista gallese osa e riesce ad esprimere uno stile fatto quasi esclusivamente di visione e immagini in cui la storia non sembra apparentemente avere alcuna valenza.
è un personaggio già apparso in molti dei lavori iniziali di Greenaway e che qui prende forma e storia. Una storia già di per sé non canonica raccontata in un orgia visiva da videoarte mai vista che può solo scombussolare ed irritare lo spettatore medio ma anche quello più preparato; il cinema come viene inteso generalmente non esiste più,ci sono recitazioni ben definite,si esce al di fuori della storia in continuazione per entrare in una sorta di metacinema e si assiste a scene ripetute più volte (addirittura a dei provini all'inizio); lo split-screen si divide come ne I racconti del cuscino (tappa fondamentale per comprendere questo nuovo e definitivo Greenaway),le frasi e le azioni vengono spesso ripetute senza alcun accomodamento verso l'eventuale pubblico; la mania di Luper di catalogare ogni cosa e persona secondo una visione enciclopedica,di giocare con i numeri e di essere un artista a tutto tondo altro non è che una proiezione evidente di Greenaway stesso (per non parlare dei film citati come Il ventre dell'architetto e Lo zoo di Venere con tanto di immagini), proiezione tanto esplicita e palese che stavolta non ci sono dubbi: non bastava farlo nascere nello stesso luogo di Greenaway ma bisognava dare una conferma sfrontata e decis(iv)a: Le valigie di Tulse Luper è un delirio onanista/artistico di portata assoluta che non può e non deve passare sotto silenzio,né tantomeno essere snobbato. Questo è un messaggio da seguire perché ha la pretesa (che non condivido) di essere cinema del futuro,di gettare nuove basi per ciò che verrà. Cinema non più inteso come intrattenimento e di conseguenza inutile né spacciato come arte ferma ed immobile da sempre ma in evoluzione,finalmente,in anticipi sui tempi. Come già scritto più volte sono lontanissimo dall'essere d'accordo con l'artista gallese ma provo soltanto rispetto per questa forte presa di posizione portata avanti con testardaggine e senza alcun tipo di riguardo verso un eventuale pubblico.
Sì,perché se è vero che visivamente è spettacolare e strano (ambientato spesso in teatri di posa palesemente finti,alla Dogville,spesso sconfinante addirittura nel metacinema) la trama appare fredda ed inutile in questo continuo alternarsi di immagini e suoni. Inizialmente può sembrare una forma di disprezzo verso la trama a dispetto dell'immagine ma entrati nell'ottica Greenaway anche la storia prende un suo significato,spesso metaforico e di non facile comprensione (specie in una visione sola) ma che ha ancora una volta la sfrontatezza di Greenaway,perché Tulse Luper è anche un viaggio attraverso gli eventi decisivi del secolo scorso.
La storia di Moab è la prima parte in cui spiccano le recitazioni di JJ Feild e di una magnetica Dhavernas,dove Greenaway viaggia storicamente tra infanzia e Seconda guerra mondiale,in cui ci appaiono personaggi che determineranno la vita di Luper (catalogati come sempre con numeri,così come le botte che prende) e lo faranno innamorare. Continue invenzioni visive che non faranno comunque felici neanche lo spettatore più paziente; perfino quando si toccano eccessi negli eccessi tutto appare freddo e dà poca emozione. Ragionandoci sopra lucidamente,però,tutto assume un altro gusto e un altro aspetto.
La storia non finisce e ovviamente c'è un To be continued finale,peccato in Italia sia uscita solo la prima parte. Ma a costo di vederlo in spagnolo ora voglio finire questa trilogia che va ricordato,non è nata per esprimersi solo cinematograficamente ma attraverso siti internet,CD-ROM,serie tv e giochi. Mastodontico ed irritante,e giuro che ho provato molta irritazione vedendolo ma pure un'infinita immirazione per chi è riuscito a realizzare qualcosa di tanto eccessivo ed artistico,l'unico consiglio che posso dare è di guardarlo con non poca leggerezza,pronti a tutto. Non ci sono mezze misure.


" Il prologo del cinema è finito. Adesso possiamo veramente cominciare" (Peter Greenaway)