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GIOCHI PROIBITI regia di René Clément

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amterme63     8 / 10  02/05/2008 16:27:16Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Intorno al 1950 ci fu in Europa un ritorno allo spiritualismo religioso che influenzò la politica, la cultura, l’arte e anche il cinema. Il 1950 è l’anno di produzione di “Miracolo a Milano” e di “Diario di un curato di campagna”, due dei più bei film che parlano del lato spirituale e religioso dell’animo umano. Anche il festival del cinema di Venezia non resta insensibile a questa prevalenza culturale; dopo avere premiato De Sica, nel 1952 premia un film francese (“Jeux interdits”) incentrato proprio sulla religiosità molto particolare e anticonvenzionale di due bambini.
In realtà i protagonisti del film sono la guerra e la morte. Ne vediamo un saggio nelle scene iniziali, che sono le più belle e le più drammatiche del film. E’ il giugno 1940, la Francia è in rotta davanti all’avanzata nazista. Una carovana di sfollati viene sorpresa su di un ponte da un attacco areo tedesco. Succede il finimondo. Le scene sono molto realistiche e molto umane allo stesso tempo. C’è concitazione, confusione, oggetti e vite umane non hanno più peso o valore. Questo però per gli adulti. Per una bambina no, gli oggetti e le persone hanno valore, eccome! Il proprio cagnolino è la cosa più preziosa che ci possa essere e lo si insegue anche sotto un bombardamento. Una scelta sentimentale che costa cara, molto molto cara! Paulette vede con i propri occhi ingenui la morte all’improvviso davanti a sé e la morte diventa qualcosa di tangibile, presente, che comanda il mondo. I bambini arrivano anche a introiettare la presenza della morte dentro il loro mondo e a farne addirittura un oggetto per i propri giochi; con la forza della disperazione si attaccano alla fantasia, alla creazione di un proprio mondo immaginario con il quale riescono a sopportare e a metabolizzare anche i dolori e le sciagure che vengono dalla realtà e dal mondo dei grandi. In questo mondo immaginario i simboli e i significati dei grandi cambiano valore. Per un bambino una croce non è altro che un oggetto come un altro e se sta sulla tomba di una persona o in una chiesa non si vede perché non possa stare in un mulino a ornare un cimitero improvvisato di cani, talpe, pulcini, lombrichi …
E’ il mondo dei grandi che sta sul banco degli accusati. Oltre all’insensatezza della guerra, c’è anche l’insensatezza di invidie, rancori, gelosie. Per gli adulti ha più valore l’apparenza, il simbolo in sé, piuttosto che la sostanza o il significato di un rapporto umano o di un oggetto. In questo i bambini riescono a dare lezioni ai grandi. Ma, ahimé, sono gli adulti che “comandano” e con le loro regole imposte riescono anche a distruggere la felicità e l’affetto di due poveri bambini. Alla guerra si aggiunge quindi anche la rigidità e la sordità delle regole legali, delle leggi scritte fatte dagli “adulti”.
Questo il bellissimo nucleo ideologico del film, il quale viene però un po’ smorzato o sviato dalla veste estetico-spiritualista che gli ha dato il regista. A parte le scene iniziali, il film si svolge in un quadro un po’ idealizzato e bucolico. Le vicende dei bambini vengono trattate in maniera molto poetica, grazie al trattamento dolce e complice fatto dalla mdp (molte sono le scene commoventi), ma soprattutto grazie alla bellissima colonna sonora: un tema per chitarra di Narciso Yepes che è diventato famosissimo (in Italia è stato usato per la canzone “Sogni proibiti di due innamorati …”). Il mondo degli adulti viene criticato ma senza infierire troppo. C’è anche una specie di omaggio alla Francia campagnola, con la sua semplicità, la sua vivacità e il vivere virtuoso e genuino. Ovviamente non poteva mancare l’onnipresente buon vecchio parroco a dirimere pacificamente tutte le controversie. Un mondo che comunque non può fare a meno della religione; se non è quella un po’ formale e consolatoria degli adulti, c’è sempre quella spontanea, ingenua ma molto sentita dei bambini, visti in ogni caso come esseri istintivamente buoni e puri d’animo. Almeno così ce li vuole far apparire Clement (negli stessi anni Bunuel dava un quadro molto più cattivo e pessimista dell’infanzia con “I figli della violenza”).