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CIAO MASCHIO regia di Marco Ferreri

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amterme63     7 / 10  04/08/2010 15:50:25Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Anche questo è un altro film di Ferreri di non facile ed evidente comprensione.
Come i film precedenti è un'amara riflessione, in forma di vita vissuta simbolica, sui dilemmi sociali che angustiavano la società degli anni 70 (e tutto sommato anche quella di oggi). Al centro pure in questo film c'è la dissoluzione dell'istituto della famiglia (con relativa cura dei figli), il tramonto e il fallimento definitivo del ruolo guida che aveva il maschio nella società, l'affermarsi ormai incontrastato della solitudine come regina del vivere individuale moderno(era lo spettro che aleggiava alla fine di "L'ultima donna").
Allo stesso tempo però è il primo film di Ferreri che finisce con una parvenza di speranza o almeno con la constatazione che in una maniera o nell'altra, in certe sue basi fondamentali, la società umana continuerà ad esistere.
Il film si svolge a New York o almeno nell'immagine di New York. La città è presente con la sua forma monumentale (bellissimi e suggestivi campi lunghi con i grattaceli sullo sfondo) e i suoi quartieri degradati. Funge però da semplice presenza simbolica; manca la vita, manca la gente, manca l'attività frenetica. Il film si svolge in pratica in una specie di solitudine collettiva, in un mondo che incombe estraneo e quasi a se stante, come se non fosse un prodotto umano; anzi sembra quasi che l'umanità come entità non esista più, sostituita da individui chiusi nei loro problemi e nella loro solitudine. Il personaggio di Luigi (il solito grande Mastroiànni) e dei suoi amici anziani sono rappresentativi della malinconia di vivere, della mancanza di senso e relazioni che portano a rinunciare alla vita.
In quest'ambiente estraniante vive Lafayette, un uomo senza precisa collocazione sociale, artista perditempo, insomma né carne né pesce. In una situazione simbolica tipica di tutto il film (un enorme King Kong morto adagiato sulle piaggie di fronte ai grattacieli di New York) Lafayette "adotta" un piccolo e affettuoso scimpanzé che si attacca a lui come fosse un bambino (e tale viene considerato). Il tema del film diventa a questo punto il declino dell'istituto della paternità e della riproduzione nella specie umana. La società è diventata così intellettualizzata ed edonista (oltre che individualista ed egoista) da rifiutare il disturbante e fastidioso lavoro della creazione e dell'educazione degli esseri umani di domani. Il paradosso di Lafayette, che s'incolla quasi per gioco il compito di allevare uno scimpanzé mentre rifiuta quello vero e ufficiale di padre, dimostra che il maschio ormai ha perso qualunque funzione sociale. Non riesce ad essere più padre, è disattento, debole e meschino (vedi il modo con cui perde lo scimpanzè e la sua reazione). Il disastro sociale familiare dei nostri ultimi anni è dovuto, secondo Ferreri, al fatto che non esistono più Padri (con la p maiuscola).
Altra critica del film è quella verso l'ormai eccessiva intellettualizzazione della cultura e il suo distacco dalla realtà, la sua incapacità di esprimere la realtà.
In tutto questo disastro c'è però un ruolo che si sviluppa e da solo regge quasi le sorti della società. Le donne ormai hanno la stessa forza spirituale e morale degli uomini, riescono a fare anche da sole e forse meglio degli uomini. Loro sono le uniche che riescono a prendersi responsabilità e a continuare a reggere le sorti della specie umana.
In questo film, la figura della donna da essere oscuro, incerto, sconosciuto e minaccioso (come nei primi film di Ferreri), diventa l'unico dotato di praticità e senno, nonché di affetto e umanità.
Il tema del film è molto importante ma non è facile seguirlo e comprenderlo, per questo la visione può risultare ostica e non piacevole.